Natalia Aspesi per “il Venerdì di Repubblica”
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IL NUOVO film di Mario Martone, uno dei cinque italiani in concorso alla 78ª Mostra del cinema di Venezia (e in sala dal 9 settembre) ha un titolo bizzarro: Qui rido io!.
Posso chiedere chi ride, dove ride, perché ride?
«Quella frase spicca in rilievo sulla facciata di una bella e vecchia villa turrita in stile neogotico sopra Napoli, nella zona tuttora privilegiata del Vomero, che allora era campagna, ci si andava a villeggiare.
Eduardo Scarpetta se la fece costruire nel 1889, con i proventi di una sola commedia di strepitoso successo, Na Santarella, e così chiamò il suo castelletto dove organizzava feste lussuose con fuochi di artificio che illuminavano tutta la città. Quella frase era una specie di rivendicazione del suo immenso successo, come a dire, "io vi faccio ridere, per voi sono un servizio, un pagliaccio, un Felice Sciosciammocca, ma chi si diverte davvero adesso, qui, chi se la gode in questa esplosione di ricchezza, sono io!"».
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Martone e sua moglie Ippolita Di Maio rispondono spesso insieme, come una voce sola, perché insieme il film l'hanno scritto, pure lei è napoletana e di massima cultura storica e letteraria, e a noi signore piace molto questa cosa che non capita sempre: che una coppia di vita sia anche coppia nel lavoro, in una composizione armoniosa e senza frastuono che evita la sovrapposizione delle voci e delle idee.
Questa volta raccontano un personaggio indimenticabile della cultura popolare napoletana, Eduardo Scarpetta, autore e interprete di 120 commedie, attore di almeno 13 film ai tempi del muto, adorato da una città nonostante la sua vita non esemplare e sfacciatamente esibita. Era certo molto chiacchierato, con le sue donne, i nove figli, 3 legittimi e 6 no, riuniti in una specie di gineceo, provvedendo a tutti, amando tutti, legando tutti insieme.
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E facendo studiare maschi e femmine, cercando di avviarli a una carriera teatrale, quindi a un futuro, sin da bambini. Era un re, quella società della fame gli perdonava tutto, quando usciva in carrozza per i vicoli, la gente riempiva le strade e gli faceva regali, grata del buon umore che portava nelle loro vite difficili.
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Al suo imponente funerale, nel 1925, partecipò tutta la città, i negozi abbassarono le saracinesche, il carro funebre regale era tirato da otto cavalli e tra la folla che lo seguiva c'erano anche tanti attori celebri venuti da tutta Italia: il suo corpo fu imbalsamato e chiuso in una bara di cristallo come certi santi, perché la folla potesse piangerlo pubblicamente. Breve biografia sentimentale e familiare di Scarpetta.
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La popputa diciottenne Rosa De Filippo, di modeste origini, è incinta, ma come si fa a dire di no al re, a Vittorio Emanuele II, che non risparmia le belle ragazze povere ? Però niente paura, Scarpetta sistema lo scandalo in cambio di un assegno di 25 mila lire che gli servirà per sistemare il teatro San Carlino: sposa Rosa, riconosce Domenico, poi arriva il loro primo e solo figlio, Vincenzo, infine affida alla sua signora la bimba Maria, riconoscendola, avuta dalla relazione con la maestra di musica Francesca Giannetti.
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Gli gira per casa la figlia del fratello di Rosa, la nipote, pure lei popputa e giovane, Luisa De Filippo: altra famigliola accasata nelle vicinanze del grandioso palazzo di via dei Mille, opera dell'architetto Salvietti, quello del teatro Bellini, dove vivono gli Scarpetta legali (ed è tuttora degli eredi); nascono Titina, Eduardo, Peppino, che chiamano zio quello che non sanno essere il padre, sono figli di N.N. col cognome della madre, De Filippo. La famiglia si era già allargata sempre in famiglia, con Anna De Filippo, sorellastra di Rosa dalla parte del padre, figli Ernesto (adottato dai Murolo), Eduardo (pseudonimo Passatelli), Pasquale De Filippo.
Vittorio Emanuele II
Ci sono tutti nel film, e ovviamente Scarpetta è Toni Servillo, complice e rivale di Martone sin dai tempi del teatro d'avanguardia. Ci sono le migliori attrici del teatro napoletano e anche uno Scarpetta, Vincenzo, 28 anni, figlio di Mario Scarpetta, nipote di Eduardo Scarpetta, bisnipote di Vincenzo Scarpetta, trisnipote del capostipite Eduardo Scarpetta. «Il nodo che mi ha spinto a fare questo film» dice Martone «è proprio quello della paternità negata, che ha segnato molto la vita di Eduardo e Peppino De Filippo.
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Basta pensare a quanta sofferenza familiare Eduardo ha raccontato in Filumena Marturano e nel Sindaco del Rione Sanità da cui ho tratto il mio ultimo film, quanta rabbia e odio Peppino riversò nel suo scandaloso libro Una famiglia difficile, rendendo insanabili i rapporti col fratello.
Appena nato Peppino fu messo a balia in una famiglia di contadini che amava come i suoi veri genitori, a 5 anni tornò a casa e cominciò a detestare quello zio troppo invadente. I tre De Filippo, già famosi, seguirono il funerale del padre, ma nessuna cronaca li nominò, perché tutti sapevano e tutti ignoravano. Eduardo mai parlò del padre e quando, molti anni dopo, Luigi Compagnone gli disse, siamo vecchi, ormai puoi dirlo, Scarpetta era un padre severo o cattivo? Eduardo rispose: "Era un grande attore"».
Come avete raccontato la vita di queste tre donne, costrette a condividere lo stesso uomo, la stessa vita, anche se con diversi privilegi, due sorellastre, una nipote, tutte con lo stesso cognome, De Filippo?
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«Abbiamo cercato di capire questo tipo di rapporto stretto, di sorellanza ma anche di inevitabile rivalità, forse nato dalla comune estrema povertà: erano donne forti, alla fine solidali tra loro, soprattutto impossibilitate a decidere del loro destino, prigioniere di una cultura patriarcale allora impenetrabile. Però era il teatro a unirle, perché in famiglia, per tutti, non c'era separazione tra palcoscenico e vita».
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Ci racconta il rapporto tra il vate D'Annunzio e il comico Scarpetta?
«A Scarpetta non bastavano la celebrità, la ricchezza, voleva anche la consacrazione artistica, l'ammirazione di Maksim Gor' kij non gli era sufficiente, il suo ego smisurato gli faceva sfidare gli intoccabili. Chiese quindi all'osannato D'Annunzio il permesso di parodiare quel dramma potente che è La figlia di Iorio: ci siamo ispirati alla autobiografia scarpettiana per ricostruire questo incontro in una notte di tempesta, nella casa di vacanza del Sommo Poeta a Marina di Pisa, che lo tratta con sufficienza e non gli dice né si né no.
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Ma Il figlio di Iorio in dialetto napoletano va in scena lo stesso il 3 dicembre 1904 al teatro Mercadante di Napoli. Nel film raccontiamo il disastro di quella sera, il pubblico che in piedi grida basta!!!, i tafferugli, lo spettacolo interrotto. Poi ci saranno le scene affollate in tribunale. Contro l'autore depone la nuova generazione di intellettuali napoletani, Ferdinando Russo, Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio e anche il giornalista Ernesto Murolo (figlio naturale di Scarpetta e Anna), che lo accusano di contraffazione.
Lo salverà Benedetto Croce, sostenendo che si tratta non di un plagio ma solo di una brutta parodia, e scrivere una brutta commedia non è reato. Scarpetta è assolto, ma il suo ego è distrutto e da allora comincia la sua fine».
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Ci divertiremo?
«Qui rido io! è un film rigorosamente antico, girato senza droni, senza steadycam, è drammatico e comico, leggero e dolente. Ci tengo molto a dire che le scene di teatro sono state girate a Roma, al Valle abbandonato, sperando che si riapra al più presto. La prima di Miseria e nobiltà di Scarpetta fu data, nel 1888, al Mercadante di Napoli, poi andò anche al Valle e nel 1954 diventò il capolavoro con Totò e una folgorante Sophia Loren ventenne. L'abbiamo capito dopo, Ippolita ed io: il film è anche un modo di ironizzare sulla libertà culturale di allora rispetto al conformismo di oggi - di cui per fortuna tanti ridono».
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