1 - RITA PAVONE E IL BALLO DEL MATTONE A WOODSTOCK
Nanni Delbecchi per il “Fatto quotidiano”
little tony rita pavone mino reitano
Si è giovani una volta sola, ma per tutta la vita si spera di ritornarlo. La saggia riflessione di Henri de Régnier ronzava nel prato di periferia dello speciale Woodstock 50-Rita racconta allestito a mezzo secolo dalla madre di tutti i concerti rock (martedì, Rai2). Vecchie glorie e neo fiancheggiatori festeggiati dal vivo, modello "anima mia", alternati a frammenti di repertorio grondanti mito, da Santana a Janis Joplin.
La mano situazionista di Carlo Freccero affiorava nella scelta della storyteller Rita Pavone, entusiasta di abiurare Il ballo del mattone, e ancor più nella collisione tra il ricordo di cosa fu la musica giovanile negli anni 60 (ribellione pacifica, la sola temuta dal capitale), e cosa è divenuta nell' era della videocrazia. La sola idea di sottoporre al televoto Ravi Shankar o di avere nella giuria di un talent Jimi Hendrix faceva capire perché molte rockstar abbiano preferito morire per tempo (oggi al massimo Morgan rischia lo sfratto).
nanni delbecchi
Quella di Rita era una Woodstock 100 per 100 legalizzata, prato di periferia, erba di casa mia, la Cassazione non avrebbe avuto nulla da eccepire, giusto qualche figurante hippy sparso qua e là, il massimo della trasgressione live era Donovan. L' intuizione di mescolare passato e presente è suggestiva, ma certe cose è consigliabile lasciare fare ad Arbore: non sempre i sogni reggono la nostalgia. (Tv d' estate? Anche no. Questa rubrica di consigli catodici se ne va in vacanza. Ogni tanto bisogna dare il buon esempio).
2 - NON È AUTOMATICO
Michele Serra per “la Repubblica”
Ci sono state polemiche, non sempre eleganti, sul fatto che la conduzione di una serata Rai su Woodstock sia stata affidata a Rita Pavone; che è stata una grande dello yeyé ed è tutt' ora una ragazza vispa, ma con Woodstock c' entra più o meno quanto Tony Renis con la Beat Generation, o Vianello-Mondaini (grandissimi!) con il Bauhaus.
FAZIO FRECCERO
Il problema (secondo me) è questo: che l' ansia di epurare artisti e intellettuali "de sinistra", come si dice a Roma, porta a soluzioni improbabili o addirittura disperate. Perché anche nell' eventualità che molti artisti e intellettuali "de sinistra" abbiano rotto, o vivano di rendita, o non meritassero tutto lo spazio che hanno avuto, non è automatico che sia pronta una nuova classe rivoluzionaria sovranista, chiamiamola così, in grado di garantire la stessa qualità, lo stesso servizio e infine, anche se è volgare dirlo, gli stessi incassi.
Se esistessero un Benigni sovranista, un Piero Angela no-vax, un Fazio salviniano, il problema non si porrebbe neanche: fuori gli sconfitti, dentro i vincitori, è la lottizzazione, bellezza. Ma così non è.
Altre vocazioni, altre abilità hanno animato il percorso dei nuovi capi della Rai e dell' Italia e dei loro vivaci entourage. E in attesa di sapere quali vocazioni e quali abilità, sarebbe meglio arrendersi all' evidenza e scendere a compromessi con la realtà delle cose. Il club di artisti che si dicono "vittime dell' egemonia culturale dei comunisti" è, in Italia, nutritissimo.
Ma pochi di loro hanno da squadernare un talento ignorato, una genialità incompresa. Ognuno ha dato quello che aveva e ha avuto quello che dava. Toto Cutugno non è Jacques Brel e Rita Pavone non è Janis Joplin. Vive la difference , e onore e rispetto per tutti.
michele serra (1)