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Mario Sconcerti per il Corriere della Sera
Il Brasile sta diventando una squadra. Era la cosa che gli mancava. A questo ha contribuito anche la crescita di Neymar, più realista e comunque decisivo rispetto al suo fragile inizio di Mondiale. Una squadra divisa in due, con centrocampisti lenti e difensori sempre scoperti, ma capace di ribaltare l' azione con una facilità di passaggi impossibili. Il Messico (ma era già successo agli altri avversari) ha cominciato improvvisamente a trovarsi chiuso nella propria area.
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Non sono fantastici dribblatori nemmeno i brasiliani oggi; i migliori, ma quasi dilettanti rispetto a prima. Ma sanno stringere l' avversario molto più addosso alla sua porta, rendono più facile l' errore, la prospettiva, lo spazio per tirare. Anche questo è un grande tema del Mondiale: è un Brasile cambiato rispetto alla sua storia, rispetto ai fuoriclasse in serie, non irresistibile, ma più flessibile, più capace di una strana costanza che alla fine prosciuga gli avversari.
Neymar di tutto questo è un riassunto perfetto. Non è Pelè, non è Ronaldo, ma è un grande giocatore, il Grande Giocatore corretto per questo tipo di simil Brasile. Dovrebbe solo ricordarsi che ai Mondiali tutto è in diretta, anche la bugia. E la commedia fatta contro il Messico conferma la differenza con i protagonisti di altri tempi. È la sciocchezza compiuta dall' anima di una prima stella, non da quella di un fuoriclasse che vive giocando. Comportandosi così Neymar inganna il senso di se stesso. Aspettiamo di meglio. Arriverà.
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O' NEY AUTOLESIONISTA
Gigi Garanzini per la Stampa
Peccato per il Messico, la migliore in assoluto delle squadre costrette a rincasare. Ma il Brasile è cresciuto ancora, e dopo un avvio prudente con qualche rischio corso ha imposto la sua superiore qualità in tutte le zone del campo. A cominciare dalla difesa che pure, sarà il caso di ricordarlo, sta giocando senza gli esterni titolari e quello di sinistra, tale Marcelo, è anche il migliore al mondo.
Ai quarti non avrà Casemiro, ri-ammonito, ma Fernandinho è un rimpiazzo di valore. Lì in mezzo, con i messicani, ha brillato un po' meno Coutinho, ma che partita ha giocato Willian, che accelerazioni, che affondi, che continuità. E poi Neymar, si capisce, un gol, un assist, un campionario intero di giocate d' autore per sé e per gli altri. Come possa un giocatore di quella classe essere così stupidamente autolesionista da andarsele di continuo a cercare, e spesso a trovare, è un mistero. Già quattro anni fa in Brasile fu una ginocchiata alla schiena di Zuniga, più o meno involontaria, a metterlo fuori gioco. Qui, da convalescente, perché ci ha messo mesi per sistemare una caviglia, finora gli è andata più o meno bene.
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Ma di botte ne ha certamente già prese, e non poche: eppure non c' è verso, e sceneggiate indegne come quella di ieri a bordocampo con Layun sembrano fatte apposta per prenotarne altre. Adesso il Belgio, chissà se ridimensionato dalla partitaccia col Giappone o ricaricato dalla rimonta finale.
L' uno-due giapponese in avvio di ripresa sembrava averlo steso per il conto totale. Poi il ct ha tolto dal campo i fantasmi di Mertens e Carrasco, e giocando in undici i belgi hanno trovato prima il gol fortunoso di Vertonghen che aveva sulla coscienza il vantaggio giapponese e poi quelli di Fellaini e Chadli, guarda caso i subentrati.
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L' ultimo, a trenta secondi dalla fine, con tutto il Giappone stracciato in avanti su un corner e un contropiede da manuale condotto alla perfezione da De Bruyne. L' unica grande giocata di una serata storta, proprio al momento giusto.
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