Fabio Cavalera per “il Corriere della Sera”
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Ansia. Paura. Tanta passione. La Scozia va al voto così. E un numero offre la fotografia di che cosa significhi questo referendum sull’indipendenza e di come lo stiano vivendo gli scozzesi, siano essi schierati per il sì o lo siano per il no: sono 4 milioni e 410.288 i residenti di età superiore ai 16 anni e ben 4 milioni e 285.323 si sono registrati manifestando l’intenzione di andare a scrivere la loro preferenza sulla scheda. Il che significa il 97 per cento, un record di partecipazione.
Che poi lo facciano, che siano presi dai dubbi, che restino a casa, sarà una scelta dell’ultimo istante. Gli indecisi sarebbero ancora tanti. Ma, in ogni caso, la campagna per questa consultazione storica ha mobilitato come non mai le coscienze.
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Era cominciata due anni fa in modo soft, leggero, quasi distratto, dopo l’«accordo di Edimburgo» col quale Alex Salmond, first minister di Scozia, e David Cameron, premier britannico, si erano stretti la mano avviando le procedure della consultazione. Un atto di democrazia semplice e tranquillo. Si conclude con i toni che si alzano, inevitabile, con gli sgambetti e con il nervosismo che cresce, specie nel fronte del no.
I sondaggi ultimi sono quattro: tre dicono 52 a 48 per i fedelissimi di Londra, uno si spinge fino alla quasi parità, 51 a 49. Cosa che costringe Alistair Darling, ex cancelliere dello scacchiere e capo di «Better Together» il comitato degli unionisti, ad ammettere: «Si decide sul sul filo di lana». È più probabile la vittoria del no ma non è certa. Lo spoglio comincia alle 23 italiane. L’esito si conoscerà venerdì in prima mattinata.
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I leader dei due schieramenti hanno dato fuoco alle ultime cartucce. E la febbre va su. Il Daily Telegraph , quotidiano londinese tory, parla di «intimidazioni, bugie, calunnie» dipingendo un clima da battaglia feroce. C’è chi prefigura scenari da incubo con migliaia di scozzesi in fuga nel caso di successo degli indipendentisti. Fantasie e allarmismi che sono parte del gioco.
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Il numero uno della polizia scozzese mette a a tacere i più esagitati complottisti: «Noi scozzesi siamo persone intelligenti, non vi sono pericoli. Le voci sui disordini sono esagerate». Anche i partigiani del no e i partigiani del sì spengono i bollori più pericolosi: «È stata una bellissima competizione, aspra ma divertente. E continueremo a vivere assieme». O nel Regno Unito o in una Scozia separata. La clausola numero 30 dell’accordo di Edimburgo comunque rassicura: entrambe le parti sono d’accordo nel rispettare e onorare il risultato e di lavorare nel migliore interesse della Scozia e del Regno Unito.
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Il fronte del no ha chiamato a raccolta banchieri, industriali, sportivi e attori. Per ultimi anche ex generali dell’esercito e della Raf, ammiragli della Royal Navy. In 14 hanno firmato una lettera pubblicata dal tabloid Sun (che comunque resta neutrale dopo il weekend scozzese di Rupert Murdoch): «La divisione del Regno Unito indebolirà la nostra sicurezza». E non è rimasto fuori dall’arena il premier spagnolo Mariano Rajoy (oltre a Clinton) che teme l’effetto trascinamento sulla Catalogna e che si oppone perciò a una Scozia integrata nell’Europa.
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Sull’onda della passione ma con garbo come sempre, il leader indipendentista Alex Salmond ha risposto a Rajoy ricordandogli che la Scozia ha l’1% della popolazione europea ma il 20% della pesca, il 25% delle energie rinnovabile e il 60% del suo petrolio: possibile tenerci fuori dall’Europa? Poi ha scritto una lettera tutti gli scozzesi: «Con la testa e con il cuore, crediamo in noi stessi». Quattro milioni di schede, sì o no. La storia del Regno Unito può cambiare.
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