Andrea Cappelli per “Libero Quotidiano”
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In Italia a sostenere le enormi spese assistenziali -145 miliardi di euro circa - è una ristretta minoranza di contribuenti italiani. Un aspetto, quest'ultimo, messo in rilievo nel Nono rapporto stilato da Itinerari Previdenziali, che fotografa lo stato dell'arte del sistema pensionistico italiano.
I risultati dello studio (presentato ieri in Senato dal presidente del Centro ricerche di IP Alberto Brambilla) evidenziano che a farsi carico dei due terzi circa dell'Irpef è una ristretta minoranza di cittadini.
Al netto del 'bonus Renzi', infatti, il 21.18% dei contribuenti con redditi superiori ai 29mila euro lordi corrisponde il 71.64% di tutta l'Irpef, mentre i due terzi degli italiani (78.82%) dichiarano un reddito inferiore a tale soglia, versando un'imposta insufficiente a coprire la spesa per le principali funzioni di Welfare.
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Questo indica che a farsi carico della spesa necessaria all'erogazione, da parte dello Stato, dei principali servizi sono 2 italiani su 10, mentre i restanti 8 beneficiano dello sforzo contributivo dei primi.
Una situazione che deve far riflettere, considerato che la spesa per assistenza e Welfare rappresenta il 30% del Pil italiano e draga il 65% delle entrate contributive e fiscali del nostro Paese.
SPESA ASSISTENZIALE
A rappresentare un paradosso e un campanello d'allarme è anche il rapporto tra l'aumento della spesa assistenziale negli ultimi dieci anni (+56%, per un valore di quasi 145 miliardi) e il raddoppio, nello stesso arco temporale, dei cittadini in povertà assoluta, mentre quelli in povertà relativa sono cresciuti del 36%.
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Ora, sono 476mila le pensioni pagate da oltre 40 anni (tra invalidità, baby pensionati e cittadini anziani); 423mila nel settore pubblico e 53.274 nel privato. A causa del virus, inoltre, per la prima volta dopo 20 anni il rapporto attivi/pensionati è sceso a quota 1,42 nel 2020 (-2,33%, un lavoratore e mezzo di media per ogni pensionato) e in 537.000 sono rimasti disoccupati, facendo calare di un punto percentuale il dato sull'occupazione totale (dal 59.1% del 2019 al 58.1% del 2020); in calo anche l'occupazione femminile (dal 50,1% al 49%).
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Due anni fa si è verificato inoltre un aumento dei pensionati (16.041.202, +6037 rispetto all'anno prima) mentre il ricorso a misure d'emergenza come il lockdown della prima fase pandemica ha portato a un ammontare degli interventi a sostegno del reddito di poco inferiore ai 42 miliardi.
PRESTAZIONI SOCIALI
Itinerari Previdenziali pone anche l'accento sul fatto che nel 2020 il nostro Paese ha destinato alle prestazioni sociali la bellezza di 510,258 miliardi, circa 22 in più del 2019 (+4,5%).
POVERTA' IN ITALIA
Il numero di prestazioni assistenziali (pensioni d'invalidità, accompagnamento ecc) ha raggiunto i 4,1 milioni mentre quello dei pensionati in tutto o in parte assistiti dallo Stato è di 7,7 milioni (48% del totale).
Insomma, un pensionato su due: un dato che fa subito pensare ai 'furbetti' e che a detta di Brambilla "non sembra rispecchiare le reali condizioni socio-economiche del Paese. A oggi - prosegue il professore - il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 15 anni nel 2035, quando le ultime frange dei boby boomer nati dal dopoguerra al 1980 (in termini previdenziali assai significative data la loro numerosità) si saranno pensionate".
Per raggiungere questo traguardo saranno necessari interventi mirati sull'età pensionabile - dato che quella effettiva in Italia è di 62 anni, contro i 65 della media UE - e un significativo cambio di passo in materia di spesa pubblica, oggi quasi tutta volta a coprire sussidi e assistenzialismo.