Stefano Folli per "la Repubblica"
speranza draghi
Pochi giorni fa il presidente del Consiglio era stato perentorio durante la sua conferenza stampa: «Ho voluto io Speranza nel governo e ne ho molta stima». Era una replica indiretta ma netta a Salvini che aveva fatto del ministro della Salute, sopravvissuto al ricambio di governo, un bersaglio polemico permanente. Opinione diffusa e sottintesa: non volendo e non potendo criticare Draghi sulla gestione della pandemia - e nemmeno il braccio operativo di Palazzo Chigi, il generale Figliuolo - il capo leghista si è accontentato di lavorare ai fianchi Speranza, esponente tra l'altro di un mini-partito di sinistra.
DRAGHI SALVINI
Le ferme parole del premier erano volte a chiudere la porta a questa guerriglia. Veniva messo in chiaro che di lì in poi le accuse al ministro diventavano "ipso facto" accuse velate, ma pur sempre insidiose, rivolte al presidente del Consiglio. Sembrava in effetti che l'incrinatura della maggioranza fosse sanata.
Tuttavia in seguito sono emersi una serie di elementi che non rafforzano la posizione di Speranza. Non c'è niente di definito o tantomeno di provato, ma una serie di sospetti e indiscrezioni su episodi opachi - a cominciare dal caso Oms/Guerra - hanno sparso un po' di nebbia intorno al ministero della Salute, sollevando interrogativi il cui risultato è quello di rimettere al centro dell'attenzione il ruolo del ministro.
ROBERTO SPERANZA E MARIO DRAGHI
Così ieri il Messaggero ha scritto che Draghi sta pensando di allontanarlo dal governo, destinandolo a un alto incarico magari all'estero. L'articolo del quotidiano è stato smentito immediatamente da Palazzo Chigi, come era inevitabile, ma intanto è ricominciato il valzer politico e mediatico volto a sfruttare le difficoltà di Speranza. Senza dubbio la difesa che del ministro ha fatto il premier costituisce uno scudo ancora sufficiente a proteggerlo, ma non si sa per quanto.
E si capisce: questa volta non è Salvini, o Giorgia Meloni dall'opposizione, a criticare gli errori di valutazione - veri o presunti - nella lotta al virus. Stavolta le ombre vengono da eventi esterni che potrebbero lambire il ministro o magari alcuni dei suoi stretti collaboratori. In ogni caso si tratta di ombre che si allungano sul ministero: andrebbero diradate in fretta e senza ambiguità prima che producano esiti destabilizzanti. L'esecutivo delle larghe intese non è fatto per sopportare squilibri al suo interno. Tutti i ministri devono mostrarsi saldi nel loro ruolo, nessuno può indebolirsi troppo in conseguenza di errori o incidenti di percorso.
ROBERTO SPERANZA MARIO DRAGHI
Qui è l' aspetto tutto politico, forse il più importante. Un' eventuale caduta di Speranza - oggi non all' ordine del giorno - avrebbe l' effetto di spostare il baricentro del governo. Salvini la presenterebbe come un fallimento della sinistra e quindi come uno slittamento complessivo a destra dell' asse politico.
Il Pd si troverebbe in qualche imbarazzo: una delle ragioni per cui Speranza è rimasto al suo posto, da Conte a Draghi, è proprio la necessità di non smentire in modo plateale la gestione della campagna anti Covid (c' è già stato l'allontanamento del commissario Arcuri e il ricambio al vertice della Protezione Civile), garantendo una maggioranza bilanciata.
Tutti sono consapevoli che stiamo vivendo settimane drammatiche, tra le sofferenze sociali, il vaccino Johnson & Johnson bloccato e le pressioni per le riaperture. L' uscita di scena del ministro difficilmente sarebbe indolore. Non sorprende che Draghi voglia difenderlo.
DRAGHI ARCURI SPERANZA