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    “SE È SOLO CALCIO, IN QATAR DOBBIAMO ANDARCI NOI” - RONCONE SUGLI SPAREGGI MONDIALI: "DETTAGLI CUPI: MANCANO I TERZINI TITOLARI, DI LORENZO E SPINAZZOLA, FUORI BONUCCI E CHISSÀ CHIELLINI; JORGINHO, SCOSSO DAI GUAI DEL CHELSEA, SI PORTA ADDOSSO BRUTALI PENSIERI DI MERCATO, INSIGNE È FIACCO, IMMOBILE NEL DERBY L'HA STRUSCIATA UNA SOLA VOLTA. E POI NON C'È CHIESA, NON C'È BERNARDESCHI. MA MANCINI SA CHE C'E' ANCHE ALTRO…"


     
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    Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”

     

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    In questo tempo di guerra e di morte sembra restarci solo un sogno pieno di calcio al sole del Qatar. Roberto Mancini sostiene che alla fine non soltanto andremo ai Mondiali, ma che addirittura li vinceremo. Guarda dentro un cappello traboccante ricordi forti, primordiali, con altri trionfi imprevisti.

     

    Qui tutto - nostalgie struggenti, speranze martellanti, volgari scaramanzie - tutto prende il profumo dei gelsomini e delle panelle fritte dagli ambulanti fuori lo stadio Renzo Barbera: all'ultimo allenamento, al tramonto, con gli azzurri che entrano in ordine sparso, con Verratti che cerca di centrare da venti metri la nuca di Jorginho, perché la tensione fa disegnare traiettorie persino allegre, Scamacca manda un bacio a qualcuno in tribuna e Bastoni si scatta un selfie con un giardiniere.

     

    vialli gravina mancini vialli gravina mancini

    Ma le pettorine sono però verdastre come certi sguardi. Il cittì ha le mani in tasca e se ne sta fermo sulla linea laterale, con quel ciuffo color mogano e il suo mantra definitivo: ricordatevelo bene quello che vi ho detto, ragazzi, con la Macedonia vinciamo di sicuro. Se restiamo alle cronache recenti, credergli è un atto di purissima fede (anche concreta: martedì scorso, a Coverciano, messa di gruppo officiata dal cappellano della Fiorentina).

     

    Dettagli cupi: Donnarumma con il corpo qui ma con la testa ancora nell'area piccola del Bernabeu; mancano i terzini titolari, Di Lorenzo e Spinazzola (miglior giocatore degli Europei, prima di crollare in lacrime con il tendine d'Achille sfilacciato); fuori Bonucci e chissà Chiellini; i tre del centrocampo sono quelli titolari: ma Jorginho - scosso dai guai del Chelsea - si porta addosso brutali pensieri di mercato, e Barella, vabbé; davanti: Insigne è fiacco, Immobile domenica scorsa - nel derby romano - l'ha strusciata una sola volta, Berardi è l'unico che in campionato fa scintille.

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    E poi non c'è Chiesa, non c'è Bernardeschi. Mancini ha visto tutto. Mancini sa tutto. Però lui, meglio di chiunque, sa che c'è anche altro. Dentro l'estetica dell'impresa compiuta appena otto mesi fa, quando ci prendemmo il campionato Europeo, ci sono indizi precisi: la narrazione di quei giorni può spiegare molto del suo ottimismo.

     

    A cominciare dall'idea iniziale, che era questa: una squadra di brevilinei, composta da buoni calciatori ma senza mezzo fuoriclasse, può e anzi deve andarsela a giocare sempre palleggiando. Divertendo e divertendosi.

     

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    E, per un po', in effetti, funzionò esattamente così. Poi però, su quell'orizzonte, cominciò a farsi complicata. Capimmo di non essere bravi abbastanza. E che al talento avremmo dovuto aggiungere parecchio. Plasticamente, fu tutto molto chiaro in semifinale, contro la Spagna. All'improvviso, ci ritrovammo nel mezzo di un gigantesco «torello»; per capirci: gli uomini di Luis Enrique, allenatore magnifico, ci stavano facendo una testa così.

     

    Nel volgere di pochi minuti fummo bravissimi a cambiare registro: addio palleggio e subito serrati e perfidi nelle marcature a gomiti alti, aggiungendo - se necessario - poderose scivolate, qualche fallaccio. Coraggio, orgoglio, astuzia: erano le spezie del nostro calcio possibile. E, in qualche modo, antico. Ci ritrovammo, senza alcun imbarazzo (e perché mai?), a fare quello che ci viene più naturale: il catenaccio.

     

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    Abbiamo vinto perché abbiamo saputo riconoscere i nostri limiti tecnici. E perché siamo stati capaci di essere artigianali, concreti (rigori segnati e parati), geniali, romantici. Eccolo laggiù Gianluca Vialli. L'abbraccio con il suo amico Mancini, quando Chiesa segnò il primo gol agli austriaci, è ormai nella storia dolce del nostro pallone. Però poi Vialli è stato e continua ad essere prezioso anche e soprattutto per quel suo sguardo, pieno e profondo, di fronte al quale qualsiasi azzurro, prima di dire no, non ce la faccio, mi arrendo, deve pensarci bene. E considerate che è tornato appositamente Daniele De Rossi, con il suo carisma.

     

    AZZURRI ITALIA INGHILTERRA AZZURRI ITALIA INGHILTERRA

    Per aggiungersi ad Alberigo Evani, il vice-allenatore con i baffi cinematografici, e al solido pezzo di vecchia Samp dello staff (Lombardo, Salsano, Nuciari). Questo allenamento, perciò, non serve a provare schemi. Non è già più il momento della tattica, delle linee tracciate sulla lavagna e fotocopiate sul prato, dei filmati visti e rivisti per capire l'uscita sbagliata, un raddoppio perduto, un taglio inutile.

     

    Le parole perfette per spiegare la nostra situazione sarebbero quelle che Al Pacino pronuncia nel film «Ogni maledetta domenica»: «O risorgiamo come squadra, o cederemo un centimetro alla volta». Ma suonano male in questo tempo di battaglie vere. La nostra è solo una storia di calcio. E se è solo calcio, in Qatar dobbiamo andarci noi .

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