Rino Moretti per https://formiche.net
L’Italia non decolla e non macina Pil. Il prossimo anno, secondo la Nota di aggiornamento al Def, la crescita italiana si fermerà allo 0,6%, mantenendosi su ritmi ancora troppo fiacchi. Confindustria ha addirittura stimato un aumento dello 0,4%.
ASSEMBLEA CONFINDUSTRIA
Ma è solo colpa del Bel Paese e dei suoi governi o c’è qualcosa in più? Domanda alla quale proprio gli esperti di Viale dell’Astronomia, coordinati da Andrea Montanino, hanno provato a rispondere, in un’apposita infografica dedicata al rapporto tra recessione tedesca e anemia italiana.
Tutto parte da una tesi: se rallenta la Germania (nel secondo trimestre dell’anno il Pil teutonico è andato sottozero aprendo le porte della recessione tecnica), allora si ferma anche l’Italia, che ha nell’economia tedesca il suo primo sbocco in termini di export. E attenzione a non commettere l’errore di crogiolarsi nel fatto che la ex locomotiva d’Europa se la passi peggio di noi.
“L’economia tedesca”, scrive Confindustria, “si è fermata a metà 2019 e si prospetta debole anche nel resto dell’anno. Il suo modello di crescita rimane incentrato sulla domanda estera: l’export è pari a quasi metà del Pil (quello italiano a meno di un terzo). La frenata del commercio mondiale la danneggia particolarmente mentre nell’ultimo anno l’export tedesco è stato più debole di quello italiano”.
GERMANIA - EXPORT
Non è tutto. Berlino “risulta fortemente penalizzata dalla caduta delle vendite di auto (il 19 per cento del totale manifatturiero, contro l’8 italiano) ed esposto al rallentamento cinese e al rischio Brexit. Inoltre, la performance italiana è stata molto positiva nei beni di consumo (farmaceutici, abbigliamento, alimentari) e negli Usa”.
Dunque? Confindustria ha pochi dubbi, non c’è da gioire troppo per le sventure tedesche. Per un motivo molto semplice: “Occorre evitare, però, la Schadenfreude, cioè la soddisfazione per le difficoltà altrui. La debolezza della Germania, primo partner commerciale e produttivo dell’Italia, si trasmette alle industrie italiane più integrate nelle catene globali del valore e alle regioni più dinamiche, soprattutto nel Nord Italia. L’export italiano, quindi, appare destinato a frenare, a meno di un deciso miglioramento dello scenario internazionale”.