Antonio Gnoli per la Repubblica
Mario Perniola
Nel corso della malattia è riuscito a scrivere un libro di quasi seicento pagine. C' eravamo sentiti per telefono tra Natale e Capodanno. Gli auguri, le chiacchiere, i progetti: «Non ho più progetti, ho chiuso con quei giri di pista su cui la vita ti obbliga a correre. A un certo punto ti fermi ed esci di scena». Sapevo che era stato male, ma anche che le cure funzionavano: «Mi hanno permesso di scrivere, che volevo di più». Mario Perniola è morto ieri a Roma, lasciando una rivista bellissima, Ágalma, una figlia, libri, alcuni importanti, e un senso di libertà e discrezione che a me facevano stare bene le volte che ci incontravamo.
Viaggiava spesso. Mi disse che una delle mete preferite era il Brasile dove aveva acquistato una casetta in un' isola vicino a Recife e vi passava alcuni mesi dell' anno. Quella che a molti poteva sembrare la stravaganza di un signore anziano, per lui fu un modo di rigenerarsi dai traumi dell' occidente. La parola "trauma" entrò nel suo vocabolario per indicare quanto nel corso della modernità fosse diventato autolesionistico e violento l' Occidente. A quella parola, così carica di morte, ne accompagnò un' altra sorprendente: "miracolo".
Tutto nel nostro mondo contemporaneo, osservava, si svolge sotto il segno del miracolo, che non è un evento attribuibile a Dio o ai santi bensì al modo in cui la comunicazione ci ha resi prigionieri della credulità. Crediamo a tutto quello che la comunicazione ci propina, al punto che il mondo in cui viviamo è diventato un esercizio senza prove, senza effettivo controllo: un puro assoluto infondato e infondabile, dove tutto è possibile perché alla fine niente è vero. Anticipò l' ormai stanco discorso delle fake news di qualche decennio.
Era nato ad Asti nel 1941. Allievo di Luigi Pareyson, si era formato alla stessa scuola estetica da cui erano usciti Eco, Vattimo, Givone. Di qui un interesse iniziale per la critica letteraria, forgiata con i nomi incandescenti di Blanchot e Bataille.
perniola
Nei primi anni Sessanta entrò in contatto con il movimento situazionista, stringendo un rapporto di amicizia con Guy Debord. Tra gli anni Settanta e Ottanta accentuò l' analisi del sociale adottando le categorie di "transito" e di "simulacro". La vicinanza a Baudrillard e Klossowski, insieme all' interesse per il pensiero di Nietzsche, segnarono un netto distacco dalle insoddisfacenti analisi del marxismo di quegli anni. Si convinse che una sorta di mutazione antropologica fosse in atto nella società contemporanea.
MARIO PERNIOLA COVER
Come affrontarne dunque gli aspetti meno prevedibili? Occorreva ai suoi occhi rinunciare al vecchio apparato categoriale - bello-brutto, destra-sinistra, alto-basso, forte-debole - e puntare a una nuova concezione del sentire che ponesse al centro, come posta in gioco, il tema della sessualità. Non c' è aspetto della nostra società, notava, che non si richiami alla sessualità: ossia l' esperienza più miracolistica nella quale ci si è imbattuti dai tempi delle pratiche medievali. Una sessualità che rilevasse meno gli aspetti dell' erotismo e del piacere del corpo e molto più la dipendenza dalla macchina (di cui la pornografia era il caso estremo). Il documento più rilevante che produsse fu in tal senso Il Sex appeal dell' inorganico (Einaudi) un pamphlet che mirava a scandagliare gli aspetti artificiali, neutri e strumentali della sessualità.
Fu un ribaltamento culturale importante anche nella riflessione che Perniola dedicò all' arte contemporanea. Era giunto alla conclusione che non ci fossero più storie (ossia eventi in grado di mutare il corso di un' epoca) ma solo storiette. Così come non c' erano più opere d' arte ma solo operette.
Deprecava il populismo che si stava diffondendo nel mondo dell' arte.
Secondo la sua analisi l' arte aveva finito con l' imitare la logica dei media, per cercare la risonanza dentro un business di lusso confuso con la moda e la pubblicità.
perniola
Comunicazione a mezzo di comunicazione. Proprio quest' ultima ha creato una società dai tratti puerili e totalmente immersa nel presente. Al punto da non saper più scorgere il passato dietro di sé e il futuro davanti a sé. La dittatura del presentismo ha sciolto ogni legame con la tradizione e dunque con l' autorità. Per questo, sospetto, si lasciò affascinare dall' arte del samurai percorrendo la "via dell' Hejo", la strategia che solo i grandi maestri di tattica militare conoscono a fondo. Amò Mishima e un testo magnifico come l' Hagakure.
Ma non c' era niente di guerresco in lui. Fu professore universitario, saggista e autore di un solo romanzo.
MARIO PERNIOLA
Fu un uomo di diminutivi: niente era così grande da valer la pena di essere difeso, ma niente era così trascurabile da non poter essere amato. La sua lezione (in parte debitrice di Foucault) nasceva dalla dissoluzione del soggetto e dal bisogno di resistenza alle residue sue pretese di dominio. Anche il '68 - nel quale per un certo periodo aveva "debordeggiato" - lo vide critico.
Non per le solite ragioni, cioè il fallimento politico del suo progetto, ma per essere stato il solo evento di una certa importanza che consentì alle televisioni berlusconiane di mettere in pratica lo slogan "tutto il potere all' immaginazione". Il suo nuovo libro voleva che si intitolasse Tiresia vs Edipo. Me lo ha annunciato con una serenità interiore che non mi aspettavo. Dopotutto accade che la scrittura sconfigga le paure di una morte imminente. Gli ho chiesto che cosa gli mancava. «Niente» ha risposto. «E poi sono contento di essere stato curato così bene di essere riuscito a portare a compimento quest' ultima fatica».
ANTONIO GNOLI
L' ho sentito gentile e vicino: «Non ho mai saputo di una persona che vive per sempre», ha aggiunto ridendo, «e quando quel momento arriverà non mi rammaricherò più di tanto.
Sarò stordito, assente o magari lucido. Chissà. Ma solo allora potrò fondermi con tutte le storie che ho vissuto insieme alle persone e i luoghi che ho amato». Mi è sembrato il modo più bello di pensare alla parola infinito.
Mario Perniola