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    SE NE VA A 84 ANNI, STRONCATA DA UN TUMORE, CARLA FRACCI, LA REGINA DELLA DANZA ITALIANA. LE ORIGINI POPOLARI, IL DEBUTTO ALLA SCALA NEL 1955. "ETERNA FANCIULLA DANZANTE", LA DEFINÌ IL POETA MONTALE. "YOU ARE WONDERFUL" LE CONFESSÒ COMMOSSO CHARLIE CHAPLIN - "VOLEVO CHE IL MIO LAVORO NON FOSSE D’ÉLITE, RELEGATO ALLE SCATOLE D’ORO DEI TEATRI D’OPERA. NUREYEV MI SGRIDAVA..." - LE NOZZE NEL '64 CON BEPPE MENEGATTI: "PAOLA BORBONI ERA FURIOSA. DICEVA CHE LA DANZATRICE DEVE RIMANERE CASTA E LIBERA. INVITAVA BEPPE A LASCIARMI STARE: "LEI PROFUMA L’ITALIA!" - LA POLEMICA CON BOLLE - VIDEO


     
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    Anna Bandettini per repubblica.it

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    È vissuta volando ma di sé diceva orgogliosa: "Sono cresciuta tra i contadini, nelle campagne vicino Cremona, libera, tra molti affetti e necessità concrete. E proprio lì, ben piantate nella terra, ci sono le mie radici". E così, leggiadra e solida, dolce e tenace, se n'è andata un "monumento nazionale", un mito del balletto, una delle più grandi artiste della danza internazionale.
     
    Carla Fracci è morta a Milano a 84 anni per un tumore che l’aveva colpita già da tempo e che aveva vissuto con coraggio e strettissimo riserbo. "Eterna fanciulla danzante", la definiì il poeta Eugenio Montale.
     
    "You are wonderful" le confessò commosso Charlie Chaplin dopo averla vista. Carla Fracci è stata davvero una artista unica, un misto di concretezza meneghina e leggerezza della poesia, una protagonista sia dell'esclusivo mondo del balletto classico che di quello pop della televisione e dei rotocalchi:
     

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    un viaggio longevo e trionfale, il suo, delicatissima e struggente Giselle, toccante Giulietta, aerea Sylphide nei più grandi teatri del mondo, dalla Scala al Royal Ballet, lo Stuttgart Ballet, il Royal Swedish Ballet, e dal 1967 artista ospite dell'American Ballet Theatre, con i più eccelsi partner come Erik Bruhn, Rudolf Nureyev, Mikhail Baryshnikov, Gheorghe Iancu, Vladimir Vasiliev, Henning Kronstam, gli italiani Amedeo Amodio, Paolo Bortoluzzi, e coreografi come Cranko, Dell'Ara, Rodrigues, Nureyev, Butler, Béjart, Tetley e molti altri.
     
    Una giovane Carla Fracci al teatro alla Scala, 1969 Carla Fracci era nata il 20 agosto del 1936 a Milano. Amici di famiglia convincono i genitori a iscriverla alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala dopo averla vista muoversi nel salone del dopolavoro del papà tranviere.
     

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    Carla ha 10 anni, è magra, esile, "all'inizio non capivo il senso degli esercizi ripetuti, del sacrificio, dell'impegno mentale e fisico. Io, poi, sognavo di fare la parrucchiera. Fu pensantissimo", raccontava in una intervista sui suoi inizi. Ma il visino dolce, la leggerezza dei movimenti colpiscono le insegnanti, Vera Valkova, Edda Martignoni, Paolina Giussani e a 12 anni è una comparsa in La bella addormentata con Margot Fonteyn.
     

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    L'incontro ravvicinato con la grande ballerina le fa capire che i sacrifici, lo studio, la disciplina possono produrre poesia. Si diploma nel 1954, nel 1955 debutta nella Cenerentola alla Scala; nel 1958, a 22 anni, viene promossa prima ballerina.
     
    Sapienza tecnica, leggerezza, una spiccata capacità interpretativa le aprono i teatri del mondo e i maggiori ruoli (ne ballerà circa centocinquanta): oltre ai popolarissimi Lago dei cigni,
     
    Lo schiaccianoci, diventano suoi i ruoli romantici, Giulietta, la Swanilda di Coppelia, Francesca da Rimini, soprattutto Giselle, il “suo” personaggio: nei panni della giovane contadinella innamorata, coi capelli sciolti e un leggerissimo tutù, entrerà per sempre nella storia del balletto. Dopo la prima del '59 a Londra al Royal Festival Hall, la Fracci sarà Giselle in tantissime edizioni e tra le più belle si ricordano quella con Erik Bruhn al Met, e l'altra con Nureyev. L'incontro con Rudy risale al 1963 e sarà un sodalizio artistico che incanterà mezzo mondo per oltre un ventennio. "Ballare con Rudolf era una sfida. Carattere difficile. Eccentrico e competitivo.
     

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    Ma di grandissima generosità. Era inammissibile per lui che nel lavoro non ci si impegnasse. E per guadagnarsi la sua stima, bisognava essere più forti e uscirne vittoriosi", ricorderà lei che proprio nei primi anni Sessanta, aveva lasciato la Scala (con una polemica per un balletto cancellato) e da ballerina indipendente, era diventa l'étoile italiana più famosa nel mondo, "la prima ballerina assoluta" scriverà il New York Times.
     
    "In tanti mi hanno chiesto come ci si sente a essere un mito. Ma i miei che erano dei lavoratori, padre tranviere, madre operaia mi hanno insegnato che il successo si deve guadagnare.
     
    E io ho lavorato, lavorato, lavorato... ". Continua a farlo anche dopo il matrimonio con Beppe Menegatti, aiuto regista di Visconti, nel '64, e dopo che è diventata mamma nel '68. Con Menegatti realizzerà molti spettacoli e personaggi (Medea, Pantea, Titania, Ariel, Luna, Ofelia, Turandot), coinvolgendo compagnie non sempre all'altezza del suo nome.
    "L’importante è che la gente veda la danza" diceva, e lei lo ha fatto vedere con sorprendente longevità anche fuori dal repertorio classico - e tra Medea, Concerto barocco, Les demoiselles de la nuit, Il gabbiano, La bambola di Kokoschka, svetta la Gelsomina de La strada di Nino Rota creata apposta per lei dal coreografo Mario Pistoni - e anche fino a 80 anni quando, fisico ancora asciutto, elastico, fece un cameo in La musa della danza al San Carlo di Napoli.

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    Ben prima di Roberto Bolle, Carla Fracci ha contribuito a portare la danza in contesti pop, a cominciare dalla televisione: nel'67 con Scarpette rosa, di Vito Molinari, in molti show del sabato sera e ancora in quella che resta una autentica e notevole prova di attrice, nello sceneggiato tv su Giuseppe Verdi,
     
    come indimenticata Giuseppina Strepponi, la soprano e seconda moglie del compositore (ma attrice lo è stata anche al cinema in Storia vera della signora delle Camelie di Bolognini con Isabelle Huppert e Gian Maria Volonté, Nijinskij di Herbert Ross con Jeremy Irons), fino alle civetteria di ridere con autoironia della bella imitazione di Virginia Raffaele al Festival di Sanremo. Virginia Raffaele nell'initazione di Carla Fracci al Festival di Sanremo 2016 Per la diffusione del balletto, d'altra parte, Carla Fracci si è spesa nei contesti più diversi, anche politici.
     

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    Da sempre mpegnata a sinistra (nel 2009 diventa assessore alla Cultura della Provincia di Firenze) si è battuta contro lo smantellamento dei Corpi di Ballo dalle fondazioni liriche, anche con un appello nel 2012 all'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "Il ballo classico ha dato prestigio al nostro Paese ed è triste che oggi sia considerato residuale.
     
    Un'arte nobile come questa non può essere trattata come una Cenerentola". Lei stessa si era impegnata in prima persona a tenerli vivi: alla fine degli anni Ottanta quando dirige il Corpo di Ballo del Teatro San Carlo di Napoli, poi nel '96 quello dell'Arena di Verona, e dal 2000 per dieci anni alla testa della compagnia di danza all'Opera di Roma, tuttavia sempre nel rimpianto, carico di rancori, della mancata dirione del balletto alla Scala dove proprio per questi dissapori non ballerà più dal '99.
     

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    L'INTERVISTA Carla Fracci: "Torno in scena ma la mia Milano mi ha ferita" Conchita Sannino 25 Ottobre 2016 A gennaio di questo 2021 è il nuovo direttore del Ballo, Manuel Legris, a invitarla a tenere due masterclass su Giselle, ricucendo così quella rottura, e di cui resta una testimonianza nella docufiction Corpo di ballo su RaiPlay.
     
    "Mi ha toccata l'accoglienza di tutto il teatro, il lungo applauso. Ho sentito rispetto e gratitudine. Spero che ci saranno altre di queste masterclass. Ai giovani voglio spiegare che la tecnica c'è ma non va esibita". Leggendaria la sua frase "la danza non è piedi e gambe.
     
    È testa", che racchiude tutta la sua poetica. La sua storia, invece, l'ha raccolta nell'autobiografia Passo dopo passo (Mondadori, 2013), che ora diventerà una fiction tv con Alessandra Mastronardi: non solo ha dato la sua consulenza insieme al marito e alla storica collaboratrice Luisa Graziadei, ma ha regalato un cameo nei panni della sua insegnante alla scuola della Scala. Come a chiudere il cerchio. "Mi lamento spesso e sono una polemica" ha confessato in una delle ultime apparizioni tv, vestita di bianco, come sempre, suo unico vezzo, "ma la mia è stata una gran bella vita". 

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    CARLA FRACCI

    Da “Cinquantamila” -www.cinquantamila.it di Giorgio Dell’Arti

     

    • Milano 20 agosto 1936. Ballerina. Dal 2001 direttrice del Ballo dell’Opera di Roma. Nel 2008 ha interpretato Madre Teresa di Calcutta in I have a dream-I care, ideazione e regia del marito Beppe Menegatti, coreografia di Luciano Cannito, e Franca Florio, regina di Palermo (regia e coreografia di Cannito). «Facendo delle radiografie per la cervicale, s’accorsero che avevo nel braccio un ago, probabilmente lasciato in un costume... Non sono riusciti a capacitarsi di come non me ne fossi accorta. Ma io, quando danzo, sono altrove».

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    • Padre tranviere, madre operaia alla Innocenti che per arrotondare metteva i datteri nelle scatole, entrambi con la passione del ballo, nell’ottobre del 1946 entrò alla Scuola di danza del Teatro alla Scala di Milano, il 31 dicembre 1956 sostituì la prima ballerina Violetta Verdy nella Cenerentola di Prokofiev: da allora ha ballato nei più prestigiosi teatri del mondo con i più celebri ballerini, da Nureyev a Vassilev. Nella sua carriera anche ruoli da attrice, tra cui quello della soprano Giuseppina Strepponi nel Verdi televisivo (1982).

     

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    • «Mai se lo sarebbero immaginate la nonna Argelide e la mamma Santina, né tantomeno il papà, sergente maggiore, quando scriveva le sue lettere dalla Russia, per sapere delle figliuole al casolare di Gazzoli degli Ippoliti. Chi si sarebbe immaginato lì in campagna che la bambina di Luigi e Santina, quella più piccola, quella tanto brava a portare le oche al torrente, quella che sembrava uno scricciolo e invece con una bacchetta in mano riusciva a tenere in fila il drappello di ochette molto meglio delle sue coetanee, chi se lo sarebbe immaginato che lei, proprio lei, avrebbe fatto tanta strada a passo di danza?» (Lina Sotis).

     

    • «Da piccola mi piaceva muovermi. Ero un’attrazione tra i grandi che la domenica ballavano il liscio al laghetto Redecesio, nel dopolavoro dell’azienda tranviaria. Così i miei mi portarono all’esame di ammissione per la scuola di ballo della Scala» (a Leonetta Bentivoglio).

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    • «Per me bimbetta, ballare voleva dire tanghi, valzer, polke nelle balere che frequentavano i miei giovani genitori, ballavo con mio padre e tutti si fermavano a guardare. Quando però, alla Scala, vidi Margot Fonteyn nella Bella addormentata mi sono trovata davanti a un faro che ha illuminato la mia vita» (a Francesca Pini).

     

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    • «Se gli italiani hanno scoperto il balletto negli anni 50 e 60, gran merito va alla ragazza milanese di periferia, che apparve sulla scena al momento giusto, nella Scala del dopoguerra diretta da Antonio Ghiringhelli e stregata dalla voce di Maria Callas.

     

    Fu Luchino Visconti, il famoso regista, a segnalare la “Carlina” nel Passo d’addio, il saggio pubblico (ora non si fa più) di fine corso o scuola. Carla danzò con Mario Pistoni lo Spettro della rosa di Fokin dopo la Sonnambula della Callas. Era il 1955, fu la rivelazione di quella magica stagione. Poi, nel 1961, arrivò in Occidente Rudolf Nureyev, e il balletto europeo tornò grande. La Fracci, erede naturale di Margot Fonteyn, prima partner del “gran tartaro”, formò una coppia ideale con Rudy. “Allora non potevo neppure pensare di diventare una star, sapevo di dover lavorare senza fermarmi. Talvolta mi chiedevo: se fosse un sogno? Se finisse tutto domani?”» (Mario Pasi).

     

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    • «Riverberata dagli abiti immancabilmente bianchi, sovrana di uno stile angelicato e senza tempo. Altro che femminismo, altro che mode. Fracci ha reso il tutù e le punte un sogno popolare, restituito i paradisi del balletto all’uomo della strada: “Ho danzato nei tendoni, nelle chiese, nelle piazze. Sono stata una pioniera del decentramento.

     

    Volevo che questo mio lavoro non fosse d’élite, relegato alle scatole d’oro dei teatri d’opera. E anche quand’ero impegnata sulle scene più importanti del mondo sono sempre tornata in Italia per esibirmi nei posti più dimenticati e impensabili. Nureyev mi sgridava: chi te lo fa fare, ti stanchi troppo, arrivi da New York e devi andare, che so, a Budrio... Ma a me piaceva così, e il pubblico mi ha sempre ripagato”» (Bentivoglio).

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    • «Confesso che nella mia vita non ho dovuto rinunciare a nulla. Spesso si esagera nel raccontare la danza come un mondo di sacrifici e privazioni: la disciplina, la costanza e lo studio occorrono, non basta mettersi su un piedistallo e dire “Io sono l’étoile” per avere successo. Ma la vita che si conduce è normalissima, almeno per me lo è stata, permettendomi di essere moglie e madre».

     

    • «Come dice la mia amica Rita Levi Montalcini, l’errore più grosso è andare in pensione. Ci vuole costanza, ci vuole attività, ci vuole sentimento» (nel 2006).

    • Nel 2007 Roberto Bolle la invitò a lasciare ai giovani la direzione del corpo di ballo all’Opera di Roma: «Io non devo rendere conto a lui della mia carriera, ho ancora molto da insegnare, e quando ballo mi ritaglio ruoli adatti a me; se interpreto la Regina Madre nel Lago dei Cigni non porto via niente a nessuno».

     

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    • Col marito (matrimonio nel 1964) si incrociarono la prima volta «in sala prove, alla Scala. Era il maggio del 1954. Beppe venne con Visconti. Era il suo assistente per Mario e il mago, un balletto di Mannino. Che però fu rimandato di un paio d’anni. Ma l’anno dopo, nel 1955, per il mio passo d’addio, Beppe c’era. E anch’io, ricordo, andavo in teatro, a vederlo provare, dalla balaustra. Erano i tempi di Visconti e della Callas: Vestale, Sonnambula, Traviata. Una stagione di collaborazioni straordinarie: Giulini, Bernstein. Circostanze come quelle... ci vorrà un bel po’ di tempo perché possano ripresentarsi.. Qualche generazione, forse. Beppe era al centro di tutto questo e a me sembrava... irraggiungibile».

     

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    • «Beppe mi ha permesso di spaziare, mi ha dato ruoli drammatici e lirici, mi ha fatto uscire dagli stereotipi. Ricordo che Paola Borboni era furiosa che ci sposassimo. Diceva che la danzatrice deve rimanere casta e libera. Sgridava Beppe: lasciala stare! Lei profuma l’Italia! Poi però, quando nel 69 nacque nostro figlio Francesco, loro due fecero pace. Desideravo tanto diventare madre, anche se all’epoca era una cosa insolita per una ballerina. Oggi Francesco è architetto e io sono nonna».

     

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    • «Non c’è mai stato un momento in cui mi sono sentita più importante di Beppe. Anzi. Forse per sfortuna, o forse per il suo carattere, estremamente generoso, lui non ha oggi nel teatro italiano la posizione che merita. Spesso è stato il primo a scoprire il talento di artisti poi divenuti grandi, come Ferruccio Soleri, Antonio Gades, lo stesso Ronconi. Ma Beppe è il tipo che si fa vincere dagli affetti. Io sono una che parla poco. Ma osservo. A volte noto segnali, in qualche modo premonitori, di situazioni che poi, puntualmente, si verificano...» (a Donatella Bertozzi).

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    • Dal 2004 è Ambasciatrice della Fao.

    • «Mio padre era un milanista sfegatato, così anch’io ho nutrito sempre una simpatia per i rossoneri. Mi piacevano Rivera e campioni come Coppi e Bartali, che fanno onore allo sport».

     

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