Marco Contini per “la Repubblica”
alberto sed
Ci sono due date fondamentali nella biografia di Alberto Sed. La prima è il 5 settembre del 1938, quella del Regio Decreto sulla "difesa della razza nella scuola fascista": espulso dalla classe, «non ero più un bambino. Ero diventato un ebreo». La seconda, diretta conseguenza della prima, è il 21 marzo del 1944, giorno della sua cattura da parte delle camicie nere. Alberto ha 15 anni. Cinque mesi prima, assieme alla mamma Enrica Calò e alle sorelle Angelica, Fatina ed Emma era riuscito a sfuggire al rastrellamento nazista del ghetto, ma nascondersi non era bastato. Finisce a Fossoli, e da lì su un carro bestiame per Auschwitz-Birkenau: in quel lager, con la sigla A-5491 tatuata sul braccio, «sono stato un numero». Frase che dà il titolo alla sua autobiografia, raccolta da Roberto Riccardi e pubblicata da Giuntina.
Alberto Sed non c' è più. Se n' è andato sabato sera alla bella età di novant' anni, portandosi via l' energia con cui aveva deciso di testimoniare lo sterminio ai ragazzi delle scuole, di cui conservava gelosamente le lettere e le fotografie, settantaquattro anni dopo essere uscito vivo dal campo nazista. A tornare erano stati lui e sua sorella Fatina, che era riuscita a resistere a tutto, anche agli esperimenti sadici del dottor Mengele. Sua mamma e la piccola Emma erano state mandate subito nella camera a gas. Angelica, la sorella maggiore, era riuscita a sopravvivere più a lungo, ma un mese prima della fine della guerra fu fatta sbranare dai cani per far divertire le SS.
alberto sed
Tornato a vivere, sposato, padre di tre figlie e poi capostipite di una pattuglia di nipoti e bisnipoti - «i frutti del mio albero che i nazisti avevano provato a estirpare» - , impiegherà mezzo secolo prima di riuscire a parlare. Fino a quel momento aveva fatto come molti dei pochi superstiti della Shoah, come Liliana Segre e Sami Modiano: era stato in silenzio, in preda a quella sorta di pudore che impedisce di dire l' indicibile. «Come quelle del corpo - spiegherà poi - anche le ferite dell' animo non vanno toccate, o possono riaprirsi procurando un inutile dolore. Ma il mio trauma è tutt' altro che rimosso. Per tutto il tempo è rimasto nel suo cantuccio, la terra di confine che in ciascuno di noi separa i ricordi dalle emozioni ».
alberto sed
È proprio l' atrocità di quelle emozioni, difficilmente immaginabili da chi non le abbia provate in prima persona, a rendere comprensibile la sua ritrosia ad affrontarle pubblicamente. Dev' esserci voluto un coraggio speciale ad ammettere la propria incapacità di tenere un braccio un neonato, neppure le sue figlie, perché ad Auschwitz aveva visto i bebè lanciati in aria come bersagli mobili per i fucili delle SS. O a rievocare quel colloquio con un internato francese che indicandogli un camino fumante gli disse gelido, «tua madre è già passata di lì, credimi».
Un ruolo, nello sciogliere quel blocco, lo ha avuto certamente l' incontro nel 2007 con Roberto Riccardi, il carabiniere-scrittore a cui Sed ha affidato i suoi ricordi. Ma dal suo racconto emergono alcuni episodi rivelatori. Come la vacanza con la moglie e gli amici in Slovenia, abortita sul nascere perché appena salito sulla carrozza del treno - un treno bello, comodo, coi finestrini bloccati per far circolare l' aria condizionata - non riusciva più a respirare, e sentendosi di nuovo come sul vagone piombato era sceso di corsa senza spiegare nulla a nessuno.
alberto sed
Un altro è legato alla sua grande passione per il calcio. A pallone aveva giocato da ragazzino, prima di essere bandito dal campo di Trastevere perché «non c' è niente di personale, sai, ma quelli come te non possono giocare», e al pallone era tornato dopo la liberazione, romanista sfegatato con tanto di abbonamento all' Olimpico.
Un giorno che si giocava Roma-Livorno - lui era davanti alla tv, allo stadio aveva già rinunciato con il fiorire sugli spalti delle croci uncinate e degli slogan antisemiti - lesse in curva Sud uno striscione in rima, «addirittura poetico: "Lazio e Livorno, stessa iniziale e stesso forno". Un episodio che ha riaperto le ferite dei ricordi, la rabbia del giorno in cui appresi che, per tirare due calci a un pallone, bisognava appartenere a un' altra "razza" ».
Alberto Sed è stato sepolto ieri al cimitero di Prima Porta, accompagnato dalla famiglia (la moglie Renata era mancata qualche mese fa) e dal dolore della Comunità ebraica.
Numerosi gli attestati di stima del mondo politico, a partire dai presidenti di Camera e Senato Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, e dalla sindaca di Roma Virginia Raggi.
ALBERTO SED
Da sport.sky.it
alberto sed
E' morto a Roma all'età di 91 anni Alberto Sed, sopravvissuto al campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau. Tifoso romanista da sempre, Alberto Sed ha raccontato la sua passione per i colori giallorossi e per Francesco Totti. Ma ha anche ricordato la sua storia, quella di deportato ad Auschwitz, nel campo di concentramento e sterminio simbolo della Shoah. Per il solo fatto di essere ebrei, Alberto, sua madre e le sue sorelle furono arrestati e deportati nel campo di sterminio nazista.
Ad Auschwitz la madre e due sorelle furono uccise nelle camere a gas, vittime della follia nazista. Sed ha raccontato l'orrore ma anche la rinascita, faticosa, senza però perdere l'ironia: "Se non fossi stato deportato sarei diventato più forte di Totti". La chiusura è un manifesto di umanità: "Abbiamo un solo Dio e ci piace il calcio: già siamo uguali".
La Roma ha pubblicato sul proprio profilo Twitter un messaggio di cordoglio, riproponendo l'intervista rilasciata dallo stesso Sed nella rubrica 'Romanisti' curata dalla tv ufficiale della società andata in onda lo scorso 25 aprile in occasione della festa per la Liberazione, dove raccontava il motivo per il quale veniva soprannominato il 'piccolo Amadei'.
mattarella alberto sed
Luca Di Bartolomei: "Iniziative come questa sono come uno scudetto"
Il video è stato condiviso da Luca Di Bartolomei, figlio di Agostino Di Bartolomei, ex calciatore ed ex capitano della Roma campione d'Italia e vicecampione d'Europa, suicidatosi la mattina del 30 maggio 1994, che sempre su Twitter scrive: "Quando la Roma fa cose così - quando ricorda Alberto o prende le distanze dai razzisti - riafferma la normalità educativa del calcio e per me è come se vincessimo
uno scudetto. La differenza ontologica dell'essere romanista sta tutta qui".