Lucetta Scaraffia per "la Stampa"
lucetta scaraffia foto di bacco
Non c'è da festeggiare una vittoria né da piangere una sconfitta. L'unica conseguenza - e si tratta veramente di una buona conseguenza - della sentenza che ha cassato il referendum a proposito del suicidio assistito è di dare più tempo alla riflessione su quello che è un problema vero e drammatico della nostra epoca: la libertà di porre fine alla vita di un altro che lo richieda. Un tempo da impiegare bene, senza fare inutili testa a testa ideologici fra chi sbandiera sofferenze insopportabili e chi si erge a difensore della vita ad ogni costo.
Le questioni in campo sono molte e vanno affrontate tutte con attenzione. Provo a farne un elenco:
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a) i progressi della tecno-medicina, che hanno creato una zona fra la vita e la morte che può configurarsi spesso come accanimento terapeutico;
b) l'allargamento dei diritti umani a un nuovo diritto, il diritto di decidere della propria morte;
c) la definizione di una figura giuridica complessa e difficile da definirsi, la figura del libero consenso;
d) i costi sanitari e perfino quelli delle pensioni (è di questi giorni la notizia che gli anziani morti di Covid hanno permesso all'Inps un risparmio di più di un miliardo);
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e) il lacerarsi dei legami familiari e comunitari che portano alla costosa ospedalizzazione di larga parte della popolazione anziana.
Ma soprattutto, e questo non va dimenticato, tutto ciò implica una riflessione vera su cosa sia la vita - alla quale abbiamo avuto accesso senza dare il nostro consenso - e cosa sia per noi la morte.
Domande che, nella nostra società consumista e superficiale quasi mai siamo disposti neppure lontanamente a prendere in considerazione. E poi, per favore, smettiamola di recitare a favore del suicidio assistito e dell'eutanasia la solita litania dei Paesi più avanzati di cui dovremmo seguire l'esempio. Andiamo a vedere cosa succede veramente in uno di questi Paesi, il Belgio.
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Lì la questione del consenso, invece di essere approfondita, è stata allegramente bypassata, allargando il "diritto" all'eutanasia ai neonati e ai malati psichici, soggetti con ogni evidenza non in grado di esprimere il loro consenso. Sempre in Belgio molti medici e operatori sanitari lamentano che la proposta di eutanasia - nella forma di un modulo burocratico - sia ormai presentata anche a malati che non ne hanno espresso spontaneamente alcuna intenzione.
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Una spinta gentile? O forse direi un consiglio non richiesto, che però la dice lunga sulla questione del libero consenso. Davvero da noi questo non potrebbe mai succedere? Davvero faremmo sicuramente leggi ottime capaci di salvarci da queste derive? È lecito dubitarne, come ha ricordato Luciano Violante in un articolo sul referendum, circa un anno fa: «Non sempre le buone intenzioni riescono a fermare le cattive conseguenze».
Quando si oltrepassa un limite, quello di considerare un crimine l'omicidio - limite sancito dai diritti umani e anche, forse non è male ricordarlo, dai Dieci comandamenti - la tentazione di allargare ulteriormente le possibilità di andare oltre è sempre più difficile da arginare: le buone ragioni, vere o false che siano, infatti si trovano sempre.