RITA PINCI
Gian Guido Vecchi per www.corriere.it
«Nei rapporti delle suore con i loro datori di lavoro c'è stato un offuscamento di quelli che io chiamo i confini. È una questione che dobbiamo affrontare». Maryanne Loughry, suora della Misericordia, docente al Boston College e consulente del Jesuit Refugee Service, non la manda a dire. Suore che lavorano per preti, vescovi, cardinali, diocesi, scuole e cliniche cattoliche, e lo fanno senza orari né diritti né contratti.
DONNE CHIESA MONDO OTTOBRE 2021
Il mensile «donne chiesa mondo» dell’Osservatore romano, coordinato da Rita Pinci, torna ad affrontare il problema delle religiose e della disparità, dopo aver denunciato più volte abusi d’autorità e sessuali, nella Chiesa comandata dagli uomini.
«Vi raccontiamo come vivono le suore e le monache. O meglio di che vivono, come provvedono alle necessità della vita quotidiana, in che modo si organizzano. Questioni che sembrano lontane dal sacro: soldi, salari, lavoro, consumo. Le religiose, questa è la cosa da chiarire, contrariamente al clero — preti, parroci, vescovi, cardinali — non ricevono uno stipendio.
Ogni convento e ogni congregazione trova i suoi mezzi di sussistenza e di guadagno, ogni suora e ogni monaca regola la sua vita e il suo lavoro, si collega, in modo diverso, con il mondo della produzione e del consumo», considera Ritanna Armeni nell’articolo introduttivo.
Maryanne Loughry Papa Francesco
Certo, la situazione è complessa, scrive Lucia Capuzzi: «Le statistiche dicono di circa 650mila donne sparse nei cinque continenti e la situazione è diversificata, cambia per Paese, congregazioni, famiglie religiose, istituto; dipende anche dal singolo carisma. Dipende se sono attive o contemplative. Suore o monache.
ritanna armeni
Ma, vale per tutte, le religiose non hanno forme di finanziamento esterno e devono mantenersi con le proprie — oggi poche — forze (mentre, ad esempio, in Italia c’è l’Istituto per il sostentamento per il Clero che paga lo stipendio ai sacerdoti, base circa 1000 euro al mese). Quelle che possono lavorano: insegnanti, educatrici, infermiere, oste- triche, e ci sono medici, badanti, operaie, cameriere, domestiche, ingegnere, architette. Altre sono impegnate nelle pastorali delle diocesi o al servizio della Santa Sede e da questa vengono pagate».
la missione italiana a kabul per salvare suore e bimbi disabili 10
Del resto, l’emergenza sanitaria ha complicato le cose: «La pandemia ha aggravato la crisi già in corso interrompendo le attività tradizionali di monasteri, abbazie e conventi che storicamente, oltre che luogo di preghiera e aiuto per il prossimo, sono stati centri culturali, sociali ed economici. Il monastero è stato per secoli una piccola città, generalmente autosufficiente, aiutato dal fatto che le suore spesso erano di origine gentilizia e portavano in dote terre e beni. Hanno resistito così fino a tutto l’Ottocento.
le piccole sorelle di gesu'
Poi l’impoverimento economico è stato progressivo. Da ultimo, lockdown e restrizioni alla mobilità – primo fra tutti l’azzeramento del turismo religioso – li hanno mandati in crisi, esattamente come le altre imprese “secolari”». Ma esistono tante, troppe situazioni opache, quelle di cui parla suor Maryanne Loughry, intervistata da Federica Re David: «Succede che cambino le mansioni, che la sorella si trovi a dover lavorare fino a tardi la sera, o nel weekend, senza tempo per se stessa e la sua Congregazione. E che né lei né la superiora abbiano un testo scritto di cui valersi. Sarebbero d’aiuto accordi con i diversi ministeri partner su stipendi, orari, mansioni e referenti».
suore
Ma non è facile: «Può esserlo nei Paesi europei e occidentali, dove abbiamo dimestichezza con questi accordi e contratti. Ma ci sono persone o congregazioni di cui ancora ci si approfitta quando non ci sono tali accordi scritti. Questo può portare a situazioni in cui una o più sorelle non lavorano più per la diocesi o per il parroco e di conseguenza perdono l’alloggio, diventano quasi homeless senza preavviso».
suore clausura 2
Grazia Villa, avvocata per i diritti della persona, si domanda in un altro articolo: «Quanto e quando l’esercizio dell’autorità superiore, connessa anche al voto di obbedienza, si trasforma in abuso di potere, anche “finanziario”, quindi in una forma di violenza economica? E quanto e come la dipendenza economica diventa un fattore di mancata denuncia degli abusi sessuali, subiti da donne consacrate da parte di religiosi? Quanto incide la sottomissione economica della vittima, soprattutto nei luoghi di maggiore povertà economica di provenienza, non solo per l’omessa denuncia, ma anche come elemento di ricatto e coercizione da parte dell’abusante?».
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