mirko pellegrini
Irene Famà per “la Stampa” - Estratti
Il «cartello dell'asfalto» che prometteva di fare Roma più accogliente in vista del Giubileo, in realtà lucrava sulla grande bellezza. Con un imprenditore spregiudicato e funzionari e poliziotti corrotti. E un giro d'affari di oltre cento milioni di euro. Parla di questo l'indagine della Guardia di Finanza, con 18 persone finite nei guai e perquisizioni sino in Campidoglio.
Figura centrale è l'imprenditore romano Mirko Pellegrini, classe '78, nome già noto alla magistratura per una storia, a Reggio Calabria, di appalti truccati sulle autostrade. Un vero e proprio «dominus», così lo definiscono gli inquirenti negli atti. Tramite prestanome di professione, i più con alle spalle reati per evasione e frode, gestiva una galassia di piccole società. Così poteva «partecipare a numerose gare per lavori di asfaltatura e rifacimento del manto stradale».
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Ai bandi si presentavano società diverse, è vero. Ma, è scritto nelle carte d'inchiesta, «erano governate da un unico centro decisionale». Non solo. Il suo «impero», stando ai primi accertamenti, Mirko Pellegrini lo manteneva con continui pagamenti di mazzette. Oppure assicurando posti di lavoro ai figli di chi faceva affari con lui.
Indagati anche quattro funzionari del Comune, un geometra di Astral, società partecipata al 100% della Regione Lazio, e due agenti della Polizia stradale. Accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, frode in pubbliche forniture, turbata libertà d'incanti, riciclaggio ed autoriciclaggio. E sono proprio i reati contestati a fornire il quadro di questa vicenda. Dove imprenditori spavaldi cercano di insinuarsi nei proficui affari della Capitale, interessata da una marea di cantieri, assieme a funzionari compiacenti. Tirarsi indietro? Impossibile. Come dimostra una delle tante intercettazioni telefoniche finite nel fascicolo. Pellegrini è con uno dei «suoi uomini». Parlano di un funzionario, a loro libro paga: «Vagli a dire a quello, che se continua a rompere gli chiediamo indietro i diecimila euro che gli abbiamo dato».
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Una volta ottenuto il contratto, poi, si andava al risparmio.
In particolare, sostengono gli inquirenti coordinati dal procuratore aggiunto Giuseppe Cascini e dal pubblico ministero Lorenzo Del Giudice, per quanto riguarda «lo spessore del manto di asfalto e le quantità di materiale impiegato» .
Insomma: lo strato di asfalto veniva realizzato molto più sottile di quanto stabilito nel capitolato. Grazie ai funzionari «amici», i controlli erano facilmente raggirabili. Compresi quelli sui camion delle imprese che superavano i limiti di peso previsti per il trasporto di materiali edili.
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I PRECEDENTI DI “MISTER APPALTI” È A PROCESSO COI BOSS CALABRESI
campidoglio
Romano, classe 78 e residente a Frascati, Mirko Pellegrini non è un nome nuovo alle cronache. Soprattutto in Calabria. Perché l'imprenditore, che attraverso le sue 17 ditte intestate a prestanome, lavorerebbe da anni al rifacimento delle strade di Roma e, addirittura avrebbe eseguito opere già in occasione del Giubileo del 2016, è attualmente sotto processo ed è stato coinvolto in due inchieste della procura Distrettuale antimafia di Reggio Calabria "Cumbertazione" e "Waterfront".
La prima risale al 2017 e riguarda il sistema integrato che da Cosenza a Gioia Tauro avrebbe consegnato gli appalti pubblici alle imprese della ndrangheta. In particolare le indagini avevano interessato due gruppi imprenditoriali: i Bagalà di Gioia Tauro, legati ai Piromalli, e Barbieri, che avrebbe fatto riferimento ai potentissimi Muto di Cetraro.
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"Cumbertazione", è il nome dell'operazione nel corso della quale a Pellegrini viene notificato un decreto, così come ad altri imprenditori sospettati di essere uno strumento operativo dei clan della Piana. "Waterfront", l'altro blitz, è del 2020 e riguarda i lavori di rifacimento del lungomare di Gioia Tauro e del porto di Rosarno, oltre a un'altra serie di gare per opere pubbliche tra il 2014 e il 2016. In questa inchiesta, in particolare, secondo l'accusa «Mirko Pellegrini, rappresentante legale, direttore tecnico e socio unico della "Edilstrade S.r.l.", avrebbe messo a disposizione la propria impresa per la partecipazione alle gare oggetto di turbativa, mettendosi comunque a disposizione di ogni esigenze dell'associazione».
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Secondo l'accusa le aziende si sono prestate a partecipare fittiziamente alle gare, singolarmente o in associazione di imprese per conto dell'organizzazione (ricevendo in cambio una percentuale che variava dal 2,5 per cento al 5 per cento sulla base d'asta, al netto del ribasso), in altri casi, avrebbero presentato offerte fittizie, ottenendo in cambio la garanzia che l'organizzazione, a sua volta, avrebbe presentato offerte fittizie per appalti di loro interesse in modo che si aggiudicassero le gare.
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