Estratto dell'articolo di Marco Carta per www.repubblica.it
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[…] Maria (il nome è di fantasia ndr) è la studentessa di 26 anni violentata lo scorso 8 maggio da Simone Borgese, che dopo averla fatta salire sulla sua auto, l’ha portata in una zona isolata alla Magliana. La data non è casuale. Perché lo stesso giorno nel 2015, l’uomo violentò una tassista. “[…] Ogni volta che chiudo gli occhi lo vedo, anche ora. Nel momento in cui la polizia mi ha detto che era stata trovato mi sono sentita sollevata. […]”.
Cosa è accaduto l’8 maggio. Riesce a parlarne?
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“Io ero in zona Magliana, dove lavoro. In questo modo mi pago l’università. Erano le 15 e dovevo andare alla stazione del treno Magliana quando si accosta questa Multipla grigio chiaro. Inizia a chiedermi delle indicazioni stradali per arrivare al raccordo in direzione Eur. Io aiuto sempre le persone in difficoltà. È il mio carattere. Ho aperto Google Maps e gli ho detto dove doveva andare. Lui inizia a dirmi che ha il telefono spento. Si era preparato tutto. Ha preso il telefono spento vicino al sedile e me lo ha mostrato. Mi invitava a salire nella macchina e io ho rifiutato più volte”.
Poi cosa è successo?
“Io gli ho detto: non salgo perché non ti conosco. A mo’ di battute lui inizia a dirmi: “ma veramente fai? Che cosa pensi che io sia? Io così non so come arrivarci, come faccio”. Ha iniziato a farmi sentire in colpa perché non lo aiutavo con modi manipolatori. Io ci sono cascata […]”.
Dove l’ha portata?
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“Siamo passati davanti alla Magliana, dove dovevo scendere. Io nel mio inconscio sapevo che non si sarebbe mai fermato. Gli ho detto devo scendere. E lui: prendi il treno alla prossima fermata. Ci sta la stazione qua. Io ero pietrificata, non reagivo più.
Poi mi chiede il telefono per fare una chiamata, gliel’ho dato. Lui digita un numero e io ho iniziato a pensare al peggio di fronte all’arrivo di una terza persona, che per fortuna non ha risposto. Poi fa una seconda chiamata finta.
A quel punto mi ricatta. Blocca il telefono e mi mi dice: se lo rivuoi mi devi masturbare. Tutto questo mentre lui continuava a guidare. In quel momento mi è venuto un panno nero davanti agli occhi. Mi sentivo che non avevo via d’uscita (inizia a piangere ndr)”.
Come ha reagito a questa richiesta?
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“Ho fatto un respiro profondo. Non realizzavo quello che accadeva. Lui si sbottona i pantaloni e si spoglia mentre guida. MI chiede di spogliarmi. Gli dico che sto male e ho bisogno di fermarmi. Siamo andati in una strada chiusa, senza uscita. C’era un ragazzo che camminava. Speravo incrociasse il mio sguardo, invece niente. Questa persona è sempre rimasta sempre calma. Io ho pensato a fuggire, ma ero bloccata. Immobile. Pietrificata. Ero sola, a piedi, senza telefono.
Lui è il doppio di me. Mi avrebbe ripresa. Temevo che se avessi provato a fuggire le cose si sarebbero complicate. Lui in maniera gentile ha iniziato a chiedermi tutta una serie di cose che voleva gli facessi. Mi fai questo? Mi fai questo? Io dicevo a tutto no. Ho provato a parlarci. Ho alzato il tono della voce. Gli ho detto che era stato scorretto perché mi aveva fatto salire con un tranello. Lui mi diceva: facciamo prima quello che devi fare, poi te ne vai. Inizia a farmi delle richieste sessuali e io ho scelto la meno peggio. Facciamo questo e poi ti lascio andare diceva”.
Poi l’ha lasciata andare?
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“Prima di farmi scendere mi ha chiesto l’età. […] Quando mi ha fatto scendere non ci stavo capendo nulla. Non sapevo come tornare a casa, ho chiamato una mia amica. Sono andata alla stazione di Villa Bonelli dove una ragazza mi ha visto in difficoltà e mi ha aiutato. Poi sul treno altre due ragazze hanno fatto lo stesso. Sono venute fino a casa mia poi mi hanno accompagnato a fare la denuncia al commissariato. Senza loro non ci sarei andata subito”.
Come hai reagito nei giorni successivi?
“È stato difficile. Ci ho messo due giorni per dirlo ai miei genitori che vivono da un’altra parte. Ero in imbarazzo. MI vergognavo a raccontare una storia del genere ai miei. Mi sentivo in colpa per essere salita su quella macchina.[…]”.
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