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    SE SBOCCIA L'AMORE TRA DRAGHI E CONFINDUSTRIA, LA CGIL FA BENE A PREOCCUPARSI - IL "PATTO" PROPOSTO DA BONOMI (RIFORMA DEGLI AMMORTIZZATORI SOCIALI, POLITICHE DI RICOLLOCAMENTO, NUOVE REGOLE PER LA SICUREZZA) VA DI TRAVERSO A SALVINI MA PIACE A GIORGETTI E AL PD - NON TUTTE LE RIFORME CHE IL GOVERNO DEVE APPROVARE SARANNO FACILI DA DIGERIRE, DALLA CONCORRENZA AL SUPERAMENTO DI "QUOTA CENTO" DELLE PENSIONI - MA COSA SI FARA' CONTRO LE DELOCALIZZAZIONI, IL PRECARIATO E L'EVASIONE FISCALE DELLE GRANDI AZIENDE?


     
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    Alessandro Barbera e Ilario Lombardo per "la Stampa"

     

    Accordi con le aziende del territorio per risolvere le crisi d'impresa e ridare un lavoro a chi l'ha perso, come accaduto di recente a Brescia. Riforma degli ammortizzatori sociali, delle politiche di ricollocamento, nuove regole per la sicurezza e il lavoro a distanza. Alcuni partiti plaudono, altri sono freddi, fatto è che l'agenda del «Patto» proposta da Carlo Bonomi e accolta da Mario Draghi è qualcosa di più e di diverso di quel che volle Carlo Azeglio Ciampi nel 1993.

     

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    Lo si intuisce quando di fronte alla platea degli imprenditori il premier abbandona per qualche istante i fogli del discorso e parla a braccio. Dice che occorre «una prospettiva di sviluppo, a beneficio anche dei più deboli e delle prossime generazioni». Sottolinea - chiamando il causa il ministro del Lavoro Andrea Orlando - ad «essere aperti ai suggerimenti al di fuori della sfera pubblica». Dietro a quelle che sembrano essere sfumature lessicali c'è sostanza.

     

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    Non tutte le riforme che il governo deve approvare in ossequio agli impegni europei saranno facili da digerire per partiti e sindacati. Dalla concorrenza al superamento di «quota cento» delle pensioni, per citare le più delicate. Dunque patto sì, ma non per una generica concertazione. Sembra passato un secolo da quando a Palazzo Chigi c'era Giuseppe Conte e Confindustria criticava ogni giorno il governo. Oggi Draghi deve governare una maggioranza dove convivono la sinistra del Pd e la Lega, Forza Italia e i Cinque Stelle. Al premier interessano «buone relazioni industriali».

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    Da lunedì si inizierà a capire se arriveranno: a Palazzo Chigi sono attesi i leader di Cgil, Cisl e Uil per discutere di sicurezza sul lavoro. Maurizio Landini si mostra molto cauto: «Non so cosa voglia dire la parola patto. Io proporrei accordi e contratti che superino la precarietà e affermino diritti uguali per tutti».

     

    E poi ancora «non c'è nulla sulle multinazionali e l'evasione fiscale». Il leader Cgil è l'unico che ammette con sincerità di voler aspettare i fatti. Ed è significativo che fra i partiti della strana maggioranza di Draghi ciascuno commenti il discorso con lo sguardo rivolto ai rispettivi elettorati. Il leader Pd Enrico Letta, ospite di "Otto e mezzo" su La7, plaude allo spirito del 1993: «Questa proposta è una vittoria del nostro partito. E' il momento giusto. Sosteniamo questo spirito di concertazione».

     

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    Orlando, spesso in difficoltà a imporre la sua linea nel governo, dice che «su temi fondamentali come welfare e politiche industriali è necessario un accordo strategico che metta assieme tutte le forze». Da settimane sui temi del lavoro nella maggioranza si trascina un conflitto tra la sinistra Pd e il Movimento Cinque Stelle da un lato, Forza Italia e Lega dall'altra. Il tema più duro è quello del contrasto alle delocalizzazioni: una norma esisteva già in un decreto del 2019, Orlando e i Cinque Stelle vogliono rafforzarla, Confindustria e i consiglieri di Draghi sono dubbiosi sull'efficacia e temono la fuga degli investimenti in una fase in cui andrebbero invece incentivati.

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    Anche per questo il M5S, tuttora il partito di maggioranza relativa in Parlamento, è rimasto freddo alla proposta Draghi-Bonomi. Giuseppe Conte aspetterà oggi per dire come la pensa sfruttando l'occasione del palco della Festa della Cgil a Bologna, dove è ospite assieme a Letta. Ieri l'ex premier è rimasto sul generico, augurandosi «un progetto di politica economica e sociale forte e condiviso».

     

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    Non è inverosimile immaginare che oggi rilancerà toni e argomenti della ala critica del suo partito, della sottosegretaria allo Sviluppo Alessandra Todde e del ministro all'Agricoltura Stefano Patuanelli. Il loro sospetto è che l'esecutivo di Draghi si stia schiacciando su Confindustria con la sponda del leghista Giancarlo Giorgetti. Il ministro dello Sviluppo economico è nel mirino di Pd e M5S proprio per come sta conducendo le trattative sul tema delle delocalizzazioni.

     

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    Il ministro, e con lui e la Lega dei governatori del Nord, sono ormai il punto di riferimento di Confindustria, critica invece con il movimentismo di Matteo Salvini. Il leader leghista ieri si è limitato a commentare positivamente il decreto sulla riduzione dei costi in bolletta e la promessa di Draghi di non aumentare le tasse. Una delle prove che la platea degli imprenditori gli sta voltando le spalle.

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