Testo tratto dall’editoriale di ‘’Riga 41. Kitsch’’, a cura di Marco Belpoliti e Gianfranco Marrone, Quodlibet, 2020
kitsch Marco Belpoliti Gianfranco Marrone
Il Kitsch deve buona parte della propria complessità, ma forse anche della sua fortuna, già al suo nome. Termine tedesco dai molteplici significati – schizzo mal fatto, figura incompiuta, copia raffazzonata, degenerazione, eccetera – , s’è preferito mantenerlo quasi sempre nella lingua originale, senza comunque risolvere granché.
Il Kitsch è come il tempo per Agostino o, soprattutto, l’arte per Croce: sappiamo bene che cos’è, tranne quando ci chiedono di definirlo. Il K. è un’evidenza problematica. I termini e i concetti evocati per definirlo costituiscono un pacchetto teorico irregolare ma, alla fine, abbastanza coeso: arte degenerata, massificata, inautentica e ripetitiva;
Marco Belpoliti
pseudo-arte a buon mercato; simulazione della bellezza, esaltazione del sentimentalismo per via del dilettantismo; celebrazione indiscriminata del piacere estetico a detrimento della fattura materiale dell’oggetto artistico; emergenza della volgarità e del male nelle arti; arte a servizio dei regimi politici totalitari e della loro propaganda;
GIANFRANCO MARRONE
uso indiscriminato degli stilemi e degli stereotipi del passato e del canone; contraffazione e simulazione; riduzione dell’opera a souvenir turistico e a gadget; diffusione di un gusto medio e massificato; cattivo gusto o totale mancanza di gusto.
L’effetto che si ottiene mettendo in fila questi concetti è curiosamente duplice. Da una parte, sembra che il K. abbia vinto, nel senso che la cultura contemporanea, la società attuale, la nostra stessa vita quotidiana ne appaiono permeate sin nei più intimi dettagli. La volgarità, la contraffazione, il sentimentalismo, l’autoritarismo, il dilettantismo vanno per la maggiore.
SUSAN SONTAG
Dall’altro, tutto ciò sa di passato, di polveroso, se si vuole di vintage. Siamo certi che oggi sia possibile continuare a parlare di degenerazione dell’arte e di cattivo gusto, di massificazione e di serializzazione? Che cosa significano oggi questi termini, quale funzione esplicativa conservano questi concetti, che valore hanno questi valori?
benjamin
Sembra di poter dire: se tutto è K., allora nulla lo è; e se nulla vi si oppone, non è possibile delinearne una reale fisionomia, una qualche identità. Più che in alcune proprietà degli oggetti, il K. finisce per risiedere nello sguardo di chi li osserva, perdendosi nel più totale soggettivismo, nel relativismo deteriore, muto, in cui tutto è uguale a tutto. La nozione di K., nata con l’ascesa della cultura borghese e con l’ausilio dei media di massa, sembra aver perduto molta della sua ragion d’essere.
Dorfles
Il panorama, rispetto a quello studiato dai suoi grandi teorici (Broch e Benjamin, Greenberg e Dorfles, Moles e Eco, Sontag e Baudrillard, e tanti altri qui raccolti nel volume attraverso i loro saggi sul tema) è oggi assai diverso.
Le arti e gli artisti sembrano sempre meno interessati alla fattura tecnica delle opere e all’eventuale piacere del pubblico. Si occupano piuttosto, in un mercato impazzito, e con una frequente ricerca della provocazione, di questioni etico-politiche e sociali: ricchezze mal distribuite, clima e ambiente, emigrazione, industria planetaria del cibo, diritti degli animali e così via. In tal modo la questione del gusto (e del cattivo gusto) s’è spostata dall’estetica filosofica all’analisi sociologica.
arbasino belpoliti eco
Riaggregando i due sensi storicamente separati del termine (alimentare ed estetico), il gusto è divenuto, da Pierre Bourdieu in avanti, un segnalatore sociale e, di conseguenza, un settore strategico del marketing. Il gusto produce piccole comunità di consumatori che comprano gli stessi brand. Sia esso gusto per la musica o per la gastronomia, per il cinema e per il vino.
josephine baker tra kitsch e camp
A sua volta, la cultura di massa sembra essersi dissolta insieme alla centralità che, in essa, avevano i media per tutti: stampa, radio, cinema e tivvù indietreggiano rispetto alla rete, ai new media, ai social network, contribuendo alla creazione di una società sempre più parcellizzata, targettizzata, priva di riferimenti valoriali, etici ed estetici, politici e antropologici di tipo unitario.
I criteri per strutturare la società, onde poterla meglio interpretare, sono numerosissimi: e tutti pertinenti. Infine, l’affermazione del pluriculturalismo su scala mondiale ha cancellato, non solo e non tanto la centralità dell’Occidente tardo borghese, ma ogni riferimento etnico assoluto: a prevalere è l’interculturalità, l’ibridazione costante di valori e di gusti, la traduzione continua di linguaggi e di tendenze.
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Le migliaia di corpi tatuati che invadono le nostre spiagge perseguono l’estetica maori, le subculture carcerarie russe, le usanze marinare ottocentesche o, molto semplicemente, sono kitsch?
Che fare dunque? Due sembrano le strade possibili. La prima è quella di archiviare il concetto nei meandri di una storiografia delle arti e della civiltà, considerando il K. come un semplice capitolo della storia dell’estetica moderna o della cultura novecentesca. La seconda è quella di tornare su questi problemi, riesaminarli, considerandoli ancora aperti, importanti, utili a una più fine comprensione della contemporaneità.
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In questo volume abbiamo provato a intrecciare entrambi i percorsi. Da una parte abbiamo raccolto in una grossa sezione antologica la maggior parte di autori e di testi che del K. si sono occupati, dai primi anni del Novecento sino al Duemila e oltre.
Dall’altra abbiamo chiesto ad altri studiosi, filosofi, artisti, poeti, scrittori, opinionisti, eccetera, di rileggerli uno per uno, presentandoli e commentandoli, alla luce, ovviamente, della nostra attuale condizione culturale proponendo loro un questionario come punto di partenza per una riflessione diretta sul tema.
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In tal modo, il nostro obiettivo è stato quello di usare il K. come una specola per riesaminare l’attualità da un punto di vista rovesciato, provando a capire che ne è di oggetti e fenomeni e tendenze come il gusto e le arti, le emozioni e i media, la quotidianità e la comunicazione. In questo senso, il problema del K. ci pare ancor oggi il nostro problema.
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Probabilmente a essere K. oggi è quel che ieri era l’anti-K.: la bellezza, l’eternità dell’opera, la sua chiusura, il suo carattere rivoluzionario, l’imperativo dell’originalità e altro ancora. Occorre tornarci su e per farlo, basta avere la finezza che ogni gusto necessariamente richiede.
Abbiamo voluto partire dal “K. prima del K.”, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, quando sono apparsi i primi segnali della questione-kitsch, che ancora non aveva questo nome; abbiamo scelto come luogo d’origine la Francia postrivoluzionaria proponendo tre testi: del collettivo “A! A! A!”, di Denis Diderot e di Charles Nodier;
julieta pedro almodovar
il commento di Maddalena Mazzucut-Mis inquadra la questione alla luce anche dell’emergere successivo del tema nella cultura europea. Segue una serie di voci di dizionari enciclopedici, filosofici e artistici dedicate al K.; partiamo dal mondo tedesco, dato che il temine sorge in quella lingua, per quanto non sia facile indentificarne un’unica e precisa origine; poi voci di area francese e cinque testi desunti da dizionari italiani con riferimenti al presente artistico e culturale.
rossy de palma e pedro almodovar
La parte sulla Gran Bretagna comprende una voce di enciclopedia e alcuni saggi tratti da riviste di quel paese che abbiamo definito “Allegati”; servono a definire meglio l’origine del termine e la questione-kitsch nei singoli paesi, e non solo. Il caso spagnolo offre invece una prospettiva particolare dal momento che la parola che definisce il : in quell’area culturale è “cursi”.
Una voce di dizionario e tre allegati: il primo è un’intervista a uno degli esponenti della cultura visiva spagnola, il regista Pedro Almodovar, cui si deve il ritorno del K. grazie alla diffusione dei suoi film in Europa; il secondo è una messa a fuoco dei temi della sua cinematografia da parte di Carlos Polimeni; il terzo è un saggio di Marìa J. Calvo Montoro, dove si racconta la storia del termine “cursi” alla luce delle vicende storiche e politiche spagnole del Novecento.
andrea mecacci il kitsch
La sezione dell’Antologia storica è concepita come una raccolta di alcuni dei principali testi dedicati al dibattito sul K: a partire dall’inizio del XX secolo: riproduciamo questi importanti saggi accompagnati dal commento di studiosi della materia; alcuni di questi sono pubblicati per la prima volta nella nostra lingua.
L’antologia è ampia, per quanto non esaurisca l’intero dibattito sul K; tuttavia all’interno dei singoli saggi e dei commenti i lettori potranno trovare altri riferimenti e rinvii per ricostruire il Continente-kitsch nelle diverse lingue europee. S’inizia con tre testi di Robert Walser del 1907 e del 1908, che pongono il tema del “dilettante” nella cultura tedesca, come chiarisce il commento di Gianfranco Marrone.
ANDREA MECACCI
Segue un saggio di Leo Popper (1910), importante figura di pensatore e saggista morto prematuramente, di cui Andrea Mecacci, autore di un importante volume sul Kitsch edito dal Mulino, ricostruisce il contesto filosofico e culturale. Milena Jesenskà, la celebre Milena delle lettere scambiate con Franz Kafka, unica presenza femminile insieme con Susan Sontag, in un dibattito tutto maschile sul tema, offre una lettura diversa del K. (1922), mentre il commento di Matteo Colombi ricostruisce il contesto mitteleuropeo e la particolare posizione di questa saggista.
theodor adorno
I tre testi seguenti sono opera di importanti filosofi e studiosi del Novecento: Walter Benjamin (1927), con il commento di Roberto Gilodi, Theodor W. Adorno (1932), con il commento di Federico Vercellone, Norbert Elias (1935), con il commento di Antonio Lucci. Benjamin presenta una lettura del fenomeno K. originale, che lo connette all’arte popolare, sollevando questioni riguardanti la riproducibilità tecnica dell’arte.
Con il testo di Adorno si apre invece la questione della “estetizzazione del mondo della vita”, e il K. passa dalla sfera estetica a quella dei “mondi vitali”. Il testo dello storico della cultura Elias pone le basi per quella che Lucci definisce “le prime scienze della cultura”, di cui nel commento viene ricostruita la nascita e il contesto.
Nabokov
Con il testo di Clement Greenberg (1939) il dibattito si sposta dall’Europa agli Stati Uniti attraverso l’intervento di un importante critico d’arte, che discute il rapporto tra arte di avanguardia e K: nella cultura estetica americana; siamo nel periodo che precede lo scoppio del Secondo conflitto mondiale e in una società di massa; Elio Grazioli situa la questione dentro le vicende critiche di Greenberg nella relazione tra artisti, pubblico e società.
NABOKOV
Interessante poi è il testo di una poco conosciuta conferenza (1941) tenuta da Vladimir Nabokov all’inizio degli anni Quaranta in America, dove ha vissuto e insegnato. Lo scrittore russo introduce il tema del poslost’, una versione russa del problema del K:; l’ampio commento di Gianpiero Piretto spiega l’origine del termine e l’uso che ne fa l’autore in riferimento alla cultura russa.
Hermann Broch, lo scrittore viennese rifugiato negli Stati Uniti dopo l’avvento del nazismo, è autore di alcuni dei più importanti interventi riguardo il K.; abbiamo scelto, tra i vari testi che ha dedicato all’argomento a partire dalla fine degli anni Trenta del XX secolo, una conferenza del 1950, pronunciata poco prima della sua morte.
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Con Broch, come spiega il commento di Andrea Mecacci, la questione si sposta dal territorio estetico a quello etico: non più gli oggetti estetici, bensì gli esseri umani; il tema della Verità sembra ora sopravanzare quello della Bellezza o del “cattivo gusto”.
Scrive Broch, autore da cui si diparte un ampio dibattito che giunge sino a Milan Kundera: “il Kitsch è il male nel sistema di valori dell’arte”, ovvero l’espressione di un’epoca in cui i valori etici sembrano perdersi. L’esperienza della guerra mondiale, l’avvento dei regimi totalitari, del Nazismo e del Fascismo, segnano il dibattito sul K., senza dimenticare che Broch è ora a contatto con la società di massa americana, la quale segnerà di sé il periodo post bellico anche nel Vecchio Continente.
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I sociologi della cultura, gli studiosi dei mass media, i critici letterari offrono ora una visione del cambiamento in corso nell’ambito della produzione e del consumo della cultura: Marshall McLuhan (1951), Dwight Macdonald (1953) e Leslie Fiedler (1955). I tre autori, commentati rispettivamente da Vanni Codeluppi, Mauro Maraschi e Samuele Pardini, riportano il dibattito in corso in USA sul tema della cultura di massa, e quindi del kitsch, che avrà negli anni Sessanta una sua ripresa nella cultura italiana attraverso la traduzione di Macdonald e i commenti di Umberto Eco e di Alberto Arbasino nel volume “Almanacco Bompiani” (1965), come spiega Maraschi.
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Il saggio Harold Rosenberg (1958) è in dialogo con quello di Greenberg di quasi vent’anni prima, come ci spiega Riccardo Venturi nel suo commento; è il tema del Middlebrow e il dibattito è ora interno al mondo dell’arte. Nel 1960 Ludwig Giesz pubblica un preveggente scritto, intitolato L’uomo Kitsch come turista, tratto dalla sua Fenomenogia del Kitsch. Il testo ripropone in area tedesca il tema sollevato da Broch del Kitsch-Mensch, ritornando ancora sul tema dell’“uomo dilettante” con una lettura fenomenologica del problema, come documenta Andrea Mecacci nel suo commento.
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Il saggio di Giesz è incluso nel volume di Gillo Dorfles edito nel 1968, Il Kitsch, antologia del cattivo gusto, che viene tradotto in diverse lingue e costituisce un punto importante dell’intera questione del cattivo gusto”. Nel 1964 viene invece pubblicato il saggio Note sul “Camp” di Susan Sontag, che apre un nuovo fronte nel dibattito.
Per la saggista americana il Camp non è il K., scrive Marco Belpoliti nel suo commento, tuttavia introduce il tema di una nuova forma del gusto. Di Gillo Dorfles si è deciso di riprodurre qui un testo tratto da Nuovi riti, nuovi miti, volume apparso nel 1965, per quanto, come spiega in una nota il suo commentatore Aldo Colonnetti, lo studioso s’era già occupato del tema agli inizi degli anni Cinquanta e ne aveva scritto in rivista e poi in vari volumi precedenti.
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“Kitsch” e cultura è tuttavia considerato il saggio più completo che precede la pubblicazione del volume sopra citato presso l’editore Mazzotta nel 1968. Di questo aspetto si occupa Colonnetti nel suo commento; ritroveremo un altro testo dello studioso più avanti: si tratta della premessa alla quinta edizione del libro del 1968, comparsa nel 1990 e quindi una discussione-intervista tra Dorfles e Colonnetti (2012).
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Umberto Eco si è occupato in più occasioni di questo tema. Nel 1964 appare Apocalittici e integrati, da cui abbiamo tratto la parte dedicata al “cattivo gusto”, con il commento di Gianfranco Marrone, e poi una serie di brevi testi apparsi sul settimanale “L’Espresso” tra il 1966 e il 1972, quindi inclusi nel volume Il costume di casa del 1973, che Stefano Bartezzaghi commenta e colloca all’interno del lavoro del semiologo e scrittore italiano.
Due sezioni dell’antologia sono dedicate anche ad Abraham Moles, il cui libro Il Kitsch e l’arte della felicità appare in Francia nel 1971 e dà il via a una nuova analisi del tema; lo commentano in due diverse scelte antologiche Maddalena Mazzucut-Mis, che ricostruisce la carriera dello studioso francese, e Gianfranco Marrone, che identifica all’interno del volume di Moles la questione del gadget.
alessandro mendini
Del 1969 è invece un capitolo tratto da un libro di un altro studioso francese attento alla cultura tedesca, La società dei consumi. Jean Baudrillard mette a fuoco il tema degli pseudo-oggetti, strumenti utili per inserirsi nelle trasformazioni in corso nella società contemporanea; Vanni Codeluppi lo commenta.
Nel 1974 esce in Germania l’ampio studio in tre volumi Sociologia dell’arte; ne è autore Arnold Hauser, ungherese di nascita, che vive in Inghilterra e ha frequentato il pensiero marxista, in particolare quello di Gyorgy Lukàcs; da quello studio abbiamo tratto un breve testo dedicato a un aspetto particolare del K.: pacchianeria.
Alessandro Mendini
Gianfranco Marrone ne esamina il significato in rapporto al tema dell’arte popolare e all’arte di massa, tema già presente negli anni Trenta nei saggi di autori tedeschi e americani. Alla fine degli anni Settanta appare all’orizzonte della discussione il cosiddetto “postmoderno”, che impone, com’è documentato in vari commenti, una nuova visione del K. Abbiamo scelto di riprodurre un saggio del designer Alessandro Mendini, saggista, direttore di riviste, personaggio di spicco nell’ambito delle arti applicate e del design, commentato da Maria Luisa Ghianda; e accanto un breve scritto di un altro designer protagonista degli anni Ottanta, Ettore Sottsass, commentato da Milco Carboni.
museo Groninger - designer alessandro mendini
Sempre negli anni Ottanta lo studioso di comunicazione, design, arte e filosofia Vilém Flusser interviene nel corso di un convegno con un intervento dall’emblematico Kitsch e post-storia (1984); pensatore originale d’origine centroeuropea, Flusser è vissuto a lungo in Brasile; lo commenta uno dei suoi maggiori studiosi, Rainer Guldin.
Nel medesimo periodo viene pubblicato il romanzo del praghese Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, che sulla scia di Broch ripropone la questione della moralità del K.; il nuovo contesto è quello dell’avvento nei paesi dell’Est dell’Europa dei regimi comunisti. Il romanzo di Kundera contiene alcune riflessioni sul K., che qui abbiamo ripreso in forma di frammenti, cui segue un interessante intervento di Italo Calvino; i due testi sono commentati da Massimo Rizzante, studioso di entrambi.
museo Groninger - designer alessandro mendini
L’antologia si conclude con uno degli scrittori italiani che più a dedicato attenzione al fenomeno del K. nel corso della seconda metà del Novecento, Alberto Arbasino. Di questo autore abbiamo deciso di riprendere un testo del 2014 che è a sua volta la ripresa di un testo precedente degli anni Settanta – Arbasino riscrive sovente i suoi testi – dedicato alla scrittrice Carolina Invernizio e anche un intervento apparso su un quotidiano nel medesimo anno, che ricapitola in forma icastica l’intera questione; questi due testi sono accompagnati da un commento di Raffaele Manica, curatore delle opere dello scrittore.
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La rassegna antologica si ferma qui, consci di non aver esaurito il tema, ma, come abbiamo scritto, i lettori troveranno altri riferimenti a testi, saggi e libri nelle note dei vari commenti. Abbiamo inoltre allegato alcune pagine di due libri apparsi in Europa: Kitsch e modernità del romeno Matei Calinescu (tratto da un libro pubblicato in inglese che affronta il tema del postmoderno nel 1987, capitolo escluso dalla traduzione italiana) e uno di Daniel Wilhem tratto dal suo Querelle del Kitsch del 2014, che si riferisce invece alla cultura francese.
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Nell’ultima parte del volume ventisette autori hanno risposto alle domande poste dai due curatori del numero, dando vita a una ampia tavola rotonda sul K. oggi, che è come la cartina tornasole dell’intero dibattito passato e presente. Cinque artisti, Alberto Sinigallia, Elvio De Santis, Petripaselli, Lorenzo Vitturi hanno risposto all’invito di uno dei direttori di “Riga”, il critico e storico dell’arte Elio Grazioli, proponendo opere in bianco e nero sul K.
Infine chiude il numero la traduzione di alcune pagine di un libro dedicato al tema dei nani da giardino: Jean-Yves Jouannais (Di nani e di giardini) che vuole essere anche un commento alla nostra copertina, che la grafica dell’intero volume, nonché dei volumi di “Riga”, Paola Lenarduzzi, ha scelto per presentare questa opera che ci ha tenuti impegnati per almeno due anni, e che si è avvalsa della collaborazione di tanti che hanno partecipato al progetto in vari modi e maniere: traduttori, commentatori, redattori. A loro va i grazie dei due curatori: Kitsch, Kitsch, Urrà!
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