DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Estratti dell’articolo di Anna Zafesova per “la Stampa”
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[…] Alexey Navalny era più di un politico, di un leader, di un personaggio mediatico: era la vittima che si era ribellata al tiranno, il prigioniero che rideva in faccia ai carcerieri, "l'uomo-che-era-sopravvissuto" all'avvelenamento, l'Harry Potter che doveva vincere nel finale. Già l'idea che milioni di persone avevano personificato la loro ultima speranza in un detenuto sepolto in un Gulag siberiano, e non viceversa, rende il grado di depressione cui era giunta l'opposizione.
Che ora diventa disperazione. I social dei dissidenti pubblicano istruzioni su come affrontare il lutto, e la coordinatrice della Comunità dei russi liberi Natalya Rigvava dice ai compagni, riuniti nella saletta di un albergo milanese, «vogliamo parlare, ma anche solo abbracciarci, per non sentirci soli in un momento così terribile».
Abituarsi al dolore significa accettare l'inesorabile, e Leonid Gozman - brillante intellettuale e politico che si definisce «nemico personale di Putin» e che fa parte del Comitato contro la guerra dei liberali in esilio - si trova a riesumare il suo primo mestiere di psicologo, di fronte a una platea che non vede più una prospettiva né un senso.
Non ha molte consolazioni da offrire: «I nuovi leader arrivano sempre. Spesso il leader è soltanto uno che pronuncia le parole giuste nel posto giusto e al momento giusto». Oggi però il posto pare sbagliato quanto il momento: la Russia che resiste è in carcere, oppure terrorizzata dalla dittatura, oppure è in esilio, e Gozman riconosce che dalla comunità degli esuli, per quanto numerosa e piena di grandi nomi, non verrà fuori nessuna soluzione. La protesta in Russia si paga con la vita, e a conquistare la libertà saranno solo quelli che rischiano e osano.
Ma anche a loro i leader orfani di Navalny non riescono a offrire un programma: «Oggi non possiamo rovesciare Putin. È brutto, fa male, ma bisogna ammetterlo», constata Gozman, che propone un programma di «resistenza morale» e di «salvezza della propria dignità».
Il messaggio mandato dalla morte di Navalny è chiaro: «Siete tutti schiavi, dice il Cremlino, e quindi dovete fare quello che non vi farà sentire schiavi» […]
Un programma di sopravvivenza, nemmeno di resistenza, che sposta la liberazione in un lontano futuro, e soprattutto la affida a forze esterne. Al fato, alla crisi economica, al tempo – Gozman è convinto che «il regime difficilmente sopravviverà alla morte di Putin» - o agli ucraini.
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[…] Resta da capire cosa ne sarà di un popolo che si arrende e aspetta di ricevere una libertà conquistata da altri. Non a caso molti ucraini prendono in giro ferocemente i "russi buoni", ricordando loro che non sono stati capaci di ribellarsi in massa né all'arresto di Navalny, né alla guerra, preferendo la fuga o il silenzio. […]
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