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    “SEMBRA HIROSHIMA” - IL TERREMOTO DEVASTA LA CROAZIA, 7 MORTI E DECINE DI FERITI. IL SISMA HA COLPITO IN PARTICOLARE LA CITTÀ DI PETRINJA, RIDOTTA IN MACERIE: “SAPEVAMO D’ESSERE IN UNO SCIAME SISMICO MA QUESTA BOTTA NON CE L’ASPETTAVAMO” – L’ORGANIZZAZIONE DEI SOCCORSI NON È STATA RAPIDISSIMA E AL GOVERNO CROATO SONO ARRIVATE OFFERTE D’AIUTO DAI VICINI, SERBI COMPRESI - SCOSSE ANCHE IN VENETO DUE ORE DOPO IL TERREMOTO IN CROAZIA -VIDEO


     
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    Francesco Battistini per corriere.it

     

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    «Sta jos, Zoki? Sta jos?». Cos’altro, Zoki, cos’altro deve succedere ancora? La faccia impolverata dalla paura, le mani che hanno scavato e nulla trovato fra le pietre lungo la riva del Kupa, un uomo esausto s’avvicina a Zoran «Zoki» Milanovic, il presidente. La scorta lo lascia fare. Dire. Imprecare. Non abbracciare, perché le scosse del virus ci tolgono la consolazione in qualunque tragedia, e il terremoto non fa eccezione. Intorno, c’è quel che resta di Petrinja e del terrore del sisma più violento che si ricordi in Croazia negli ultimi 140 anni, forse uguale solo al disastro che distrusse mezza Zagabria a fine ‘800, vai a saperlo. «

     

    È come Hiroshima», mormora stordito Darinko Dumbovic, il sindaco della cittadina, che ai tempi dell’atomica non era neanche nato. «Sembra d’essere a Grozny», scuote la testa il presidente croato, che in Cecenia ci andò quand’era ambasciatore di Tudjman e ne rivede la distruzione. Milanovic cammina fra le macchine schiacciate, i tetti rovesciati, le sirene sgomente.

     

    Non era ancora cominciato quest’orrendo 2020 e Zoki veniva a Petrinja, dove le bombe degli anni 90 colpirono duro, a fare comizi e a chiedere il voto dei 25 mila abitanti e a promettere che «la guerra è finita», che la Croazia avrebbe finalmente dimenticato i tanti fantasmi e le troppe morti.

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    Città distrutta

    Invece: prima è piombata la pandemia, su un Paese di quattro milioni d’abitanti che sta mietendo 90 vittime al giorno; ieri alle 12.19 questa magnitudo 6,4, profondità 10 chilometri, potenzialmente dagli effetti trenta volte peggiori (dicono i sismologi tedeschi) della scossa che lo scorso marzo aveva già spaccato i muri, spaventato tutti e spinto a un solidale applauso d’incoraggiamento perfino i serbi di Belgrado e i bosniaci di Sarajevo.

     

    Agli zagabresi, questo sisma di dicembre va meno peggio che in primavera: un po’ di case crepate, ascensori come trappole, il Parlamento evacuato, panico. Ma la piccola Petrinja, no: la roccaforte del re Petar, la capitale dei salami, la serra dei tigli napoleonici è mezza devastata e mezza inabitabile. Un cumulo di pietre, come profetizzavano i Romani che la fondarono.

     

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    S’aprono i sotterranei dello stadio, si riscalda il palasport per farci dormire subito 500 sfollati, trecento soldati frugano con le ruspe e ogni ora si trova un cadavere: una bambina, poi un ventenne con suo padre, quindi una ragazza di Glina, il numero delle sette vittime appaiato a un «finora» e a un pianto senza fine... Con quell’uomo che guarda il suo presidente, esausto come lui: sta jos, Zoki?

     

     

    «Sembra di stare su una barca»

    La paura ha gli occhi grandi, dicono i vecchi della Banovina, e stavolta si sono davvero spalancati. Il grande bang arriva all’ora di pranzo, «sembrava di stare su una barca», la gente che scappa in strada, i tg della mezza interrotti per le scosse e gli speaker impietriti, il tremolio sentito in dodici Paesi europei, lungo l’Adriatico e fino a Napoli.

     

    È da un po’ che si barcolla in questa parte d’Europa, una cinquantina di volte negli ultimi mesi, e anche il Veneto s’allarma quattro ore dopo quando tocca al Veronese, magnitudo 4,4. «Sapevamo d’essere in uno sciame sismico — racconta il sindaco Dumbovic — ma questa botta non ce l’aspettavamo».

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    L’organizzazione dei soccorsi non è rapidissima e al governo croato arrivano offerte d’aiuto dai vicini, serbi compresi. L’emergenza è anche per la sicurezza della vecchia centrale nucleare di Krsko, sempre contestata proprio perché costruita in zona sismica, una struttura anni 80 a cento chilometri dall’Italia, condivisa con gli sloveni e chiusa per prudenza: da sempre solo a sentirne il nome, che sembra il suono d’una mitragliata, a Zagabria e a Lubiana si preoccupano.

     

     

     

    Venti scosse d’assestamento

    Si trema tutto il giorno. Venti scosse d’assestamento, telefoni in tilt, un blackout in ogni dove della regione, l’asilo crollato, le chiese a pezzi. L’ospedale di Sisak rimane in piedi solo nel padiglione centrale e al reparto di ginecologia: i pazienti ricoverati per il Covid vengono portati in altre terapie intensive. Una donna è salva dopo quattro ore sotto le macerie, grazie ai cani da catastrofe. Precipita un operaio che aggiusta un tetto ed è vivo, miracolo, per raccontare che nel suo paesino «nove case su dieci non ci sono più».

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    Morte e distruzione

    Solo i droni danno un’idea dell’onda distruttiva su Petrinja, ma a tarda notte poco si sa delle campagne: «È indescrivibile — dice il sindaco — tutto ciò non ha nulla a che fare con la vita». Un giovane, Dinko Raducevic, afferra sassi e putrelle, sposta i massi, cerca la figlia sotto la casa rasa al suolo. Non c’è, non c’è… Vede una mano: «Era l’amichetta di mia figlia. Morta. Aveva compiuto 13 anni cinque giorni fa». Dinko le pratica un massaggio cardiaco per 40 minuti, finché non arriva un’ambulanza. S’accascia. Si sente inutile: «Ho solo preso un rosario. E gliel’ho messo al collo».

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