Agostino Gramigna per www.corriere.it
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C’ è una scena nel famoso film «Il pranzo di Babette», quella finale, in cui una comunità litigiosa si riappacifica e si ritrova a godere insieme della vita attraverso il cibo cucinato da una bravissima chef francese. Nel villaggio danese (l’epoca è quella della rivoluzione francese) dove avviene il miracolo, l’armonia procurata dal cibo è collettiva.
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Spostandoci di qualche secolo e arrivando ai giorni di oggi, in una città che fa tendenza come New York si scopre l’opposto: e cioé che si può ritrovare l’armonia e il piacere standosene seduti da soli ad un tavolo di un ristorante. Individualmente. Singolarmente. Anzi, racconta The Times, il fenomeno attuale vede un numero sempre crescente di newyorkesi cenare e pranzare da soli. In alcuni casi, segnalano noti ristoratori, negli ultimi quattro anni le prenotazioni di uomini e donne che amano cenare «con se stessi» sono aumentate dell’ottanta per cento.
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Mangiatore solitario
In teoria il mangiatore solitario è un potenziale negativo per l’incasso (toglie coperti al tavolo). Gli chef tuttavia sembrano apprezzarlo. Perché li gratifica. È come se dicessero allo chef: veniamo a cenare perché abbiamo un appuntamento con il tuo cibo. Fenomeno soltanto newyorkese?
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Assolutamente no. Persino da noi, nel Paese che concepisce il cibo come veicolo di condivisione, di convivialità, dove il solitario nel ristorante è sovente associato all’«infelice» privo di compagnia, il fenomeno c’è. Esiste. Cristina Bowerman, imprenditrice e chef stellata con il suo ristorante Glass Hostaria a Roma, ha una sua piccola statistica: «Incuriosita dall’elevato numero di persone che mangiano da sole nel mio ristorante mi sono messa a contarle. La media in un anno è di circa 140-150. Mi creda, non è poco».
Forma di meditazione
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La chef ha una sua teoria. «Il solitario è soprattutto un appassionato di cibo. Io considero l’atto come una forma di meditazione. Star bene con se stessi, godere della propria compagnia. Sono anche molte le donne che viaggiando da sole varcano la soglia del mio ristorante. A New York è una cosa normale, da noi lo considero un fatto di emancipazione.
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Poi noto un elemento che non finisce di sorprendermi: mentre mangiano molti clienti solitari leggono un libro». Amanda Cohen, proprietaria del Dirt Candy, ristorante vegetariano nel East Side di New York ha ideato la «settimana dei soli» nel mese di febbraio. Perché odia San Valentino. Da noi non c’è qualcosa di analogo. Ma ci sono modi e tempi da rispettare, se si vuole accogliere il cliente solitario. Disposizione dei tavoli, atmosfera e personale di sala adeguato. Alessandro Negrini noto chef del ristorante milanese «Aimo e Nadia Moroni», spiega alcune mosse basilari. Scherza: «Molte volte nei menù il risotto, piatto nobile della cucina italiana, è offerto con la dicitura: minimo per due.
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Ma perché? Non va bene». Poi, più serio: «L’accoglienza è fondamentale. Chi viene da solo lo fa perché ama discutere di cibo e di vini con il personale e lo chef. Desidera sedere ad un tavolo che non sia attaccato ad un altro dove c’è la coppia che sta litigando. E bere vini pregiati senza l’obbligo di dover ordinare una bottiglia intera, costosissima. Invece nei ristoranti chi ordina un calice si sente dire spesso: vediamo cosa abbiamo di già aperto... Non va bene».
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