Paolo Di Paolo per “la Repubblica”
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«Quando tutto è cominciato, avevo 17 anni. Ora sto per compierne 19». Andrea pronuncia questa frase semplice, una questione di numeri, e però suona come una rivelazione. «Sento come se mi fossero stati strappati gli anni più belli, esperienze comunque irrecuperabili. La spensieratezza che dovrebbe essere di questa età è stata schiacciata da un peso a tratti insostenibile », aggiunge Isabella.
Dialogo via Meet con ragazze e ragazzi tra i 15 e i 18 anni; frequentano diversi indirizzi - classico, scientifico, tecnico, professionale - dell' istituto Machiavelli di Pioltello, in provincia di Milano.
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Mi colpisce la maturità con cui parlano di ciò che stanno vivendo: come se fossero cresciuti più in fretta. Mettono in relazione i desideri e la responsabilità: «Ammetto - continua Andrea - di conoscere molti coetanei stanchi di seguire le regole. Anche a Capodanno le violazioni sono state numerose. Io sono rimasto chiuso in casa con i miei. Ha avuto un senso? Me lo chiedo, e mi rispondo: spero di sì».
L' insofferenza, la rabbia, il disagio. Le proteste. Le risse. Un paesaggio emotivo sempre più turbolento: «Il corpo soffre » dice Caterina. «Mi sono resa conto, via via, di avere giornate sempre più immobili e per paradosso più stancanti. Passo la mattina a studiare in questa stanza. Pranzo. Torno nel pomeriggio a studiare in questa stanza. Tutto è racchiuso nello stesso spazio, tutto si mescola, non sento più differenze tra momenti e attività ».
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La sensazione più forte è quella di essere privati dello spazio personale. La cameretta è diventata pubblica, esposta nelle sessioni di Dad. E spesso condivisa a fatica: «Io e mio fratello siamo costretti a stare entrambi in questo spazio.
Forse non abbiamo mai passato tanto tempo insieme, e questo ha un suo valore, ma ogni volta che lui entra o esce, o semplicemente apre l' armadio, io perdo la concentrazione ». La casa non è più la stessa, le interferenze sono troppe.
Sulla didattica a distanza in sé, si dividono nettamente. Il minore dei mali? «Speravamo che non diventasse in sostanza l' unica opzione praticabile». Luca dice di essersi trovato bene; e così Massimiliano: «Condivido la stanza con mio fratello e mia sorella, ed essendo uno che comunque usciva poco, e non va benissimo a scuola, ho avuto un' occasione per mettermi alla prova in modo diverso».
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Altri, invece, sono arrivati alla conclusione che, in questa fase, la dad dimostri solo l' incapacità di immaginare e costruire alternative. «Se nella prima ondata era totalmente giustificata dall' impreparazione, in questa fase è il segno di come la scuola non sia considerata una priorità, di come non sia stata davvero affrontata la complessità della situazione. Sembra una via di fuga degli adulti».
«Volendo trovare un aspetto positivo », interviene Andrea, «si può dire che questa stagione abbia svecchiato la scuola italiana. È diventata rapidamente più tecnologica ». Isabella ci riflette su, e torna con l' immaginazione al passato: «In effetti, come avremmo fatto venti o trent' anni fa?». Ma la necessità di tornare a parlarsi, a vedersi, a toccarsi è sempre più prepotente.
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«Credo che in parte le risse nascano anche da questo, da un corpo che si sente compresso. E si genera aggressività. Una sorta di nervosismo permanente».
Manca l' attività fisica («mi limito a una passeggiata, a una breve corsa. Ma non mi basta»). Manca la normalità «spazzata via». Manca l' amicizia com' era: «Chi è al primo o al secondo anno di superiori », dice Giulia, «non ha avuto il tempo di conoscere bene i compagni. I rapporti non sono gli stessi che si sarebbero creati in presenza ».
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E anche gli studenti "uscenti" non sono felici. «L' ultimo anno è fondamentale. E non lo stiamo vivendo come avremmo voluto», dice Matteo. La frase più netta la aggiunge forse Caterina. Tirando in ballo il cinismo degli adulti, che alzano le spalle di fronte alle proteste, alle occupazioni simboliche: «Il danno all' istruzione di una generazione lo vedi in un tempo più lungo di quello che rende visibili i danni economici. Ho la sensazione, come studentessa, come persona giovane, di non essere in cima ai problemi. E che nemmeno la scuola lo sia, al di là dei proclami ».
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«Quando penso a tutto quello che sto perdendo - dice Isabella - e al mondo che c' è fuori, sento un grande sconforto. E mi chiedo come mi sveglierò, come sarò, quando tutto questo sarà finito».
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