Claudio Bozza e Paola Di Caro per il "Corriere della Sera"
silvio berlusconi
A dominare è lo scoramento. «Senza Berlusconi al comando, Forza Italia si dissolverà...» è il lamento nei corridoi, al telefono, coperto dall'anonimato ma tanto forte da rimbombare nei palazzi della politica.
Lamento che carsicamente si leva ad ogni incidente e ogni volta che il Cavaliere scompare dalla scena, e che si fa più forte quando qualcuno taglia i ponti e se ne va, anche se da Arcore la linea è minimizzare: «Chi vuole andarsene faccia pure».
Ultimo caso, doloroso, l'addio di Lucio Malan, approdato a Fratelli d'Italia senza che alcuno ne avesse avuto il minimo presentimento. «Mi chiedo dove stia andando il partito» allarga le braccia Andrea Cangini, uno dei pochi a dare voce allo sconforto e non solo perché la sua candidatura a sindaco di Bologna - che risultava dai sondaggi la più gradita - è stata sacrificata al volere di Salvini che ha imposto un civico, Battistini. Non fa finta di niente nemmeno Gabriella Giammanco: «Credo che sarebbe costruttivo, anziché puntare il dito contro chi se ne è andato, capirne le motivazioni e cercare di risolvere ciò che non va nella gestione del partito», dice denunciando il malumore di molti per la gestione troppo accentrata del partito.
lucio malan
Elio Vito quotidianamente denuncia l'appiattimento di Forza Italia sugli «alleati sovranisti», mentre Renato Schifani ostenta un silenzio pesantissimo da settimane. La «dipendenza» da Salvini - sommata ai numeri, perché con il taglio dei parlamentari e il calo dei consensi registrato dai sondaggi, nella prossima legislatura forse uno su cinque riuscirà ad essere rieletto - sono un mix micidiale per gli umori degli azzurri. E spingono tanti a cercare riparo altrove.
Già nell'ultimo anno si è assistito ad una «fuga» di nomi noti - da Laura Ravetto passata alla Lega a Mariarosaria Rossi, prima al Gruppo misto e poi a Cambiamo -, di storici esponenti del partito come Michaela Biancofiore, Osvaldo Napoli, Cosimo Sibilia, gli ex coordinatori Marin, Mugnai, più nel complesso una trentina tra deputati e senatori che sono andati a formare prima la componente Cambiamo di Toti, poi il gruppo Coraggio Italia dello stesso Toti e del sindaco di Venezia Brugnaro. Ora, dopo il clamoroso passaggio di Malan, l'approdo che viene considerato più appetibile è quello in FdI, unico partito che si ritiene aumenterà e di molto il gap tra uscenti e nuovi eletti. Il problema è che non c'è posto per tutti quelli che vorrebbero abbracciare la Meloni.
elio vito
Raccontano da FdI che le richieste sono «tantissime», ma che finora ci si era limitati a qualche nome «di particolare valore» sia sul territorio che in Parlamento, anche per tenere rapporti di «buon vicinato» con gli alleati. Non solo: gli aspiranti aderenti hanno dovuto sottostare a una sorta di controllo di «qualità» preventivo, rimanendo in attesa «fino ad otto mesi» prima di essere accolti. È successo con deputati in arrivo dal M5S come De Toma e Silvestri, sta succedendo per altri che entreranno a breve dopo aver lasciato FI ed essere passati per Cambiamo: come i bergamaschi - giovani, già esperti e con un forte consenso - Alessandro Sorte e Stefano Benigni, con il consigliere regionale Paolo Franco.
gabriella giammanco e il marito
Ma adesso le cose potrebbero cambiare e le porte aprirsi più facilmente se tra FI e FdI continuerà la guerra armata di questi giorni, dopo lo strappo sulla Rai che, insiste la Meloni, ha «lasciato il segno» e che potrebbe portare alla candidatura autonoma in Calabria di Wanda Ferro che «sta suscitando entusiasmo anche in altri partiti del centrodestra». E comunque «dovremo pur dare una casa a chi, nel centrodestra, non vuole più stare con questa maggioranza», dicono da FdI. I nomi restano top secret, si escludono annunci «nelle prossime ore», ma è possibile che qualcuno rompa i ponti con FI già prima della pausa estiva, magari «parcheggiandosi» al Gruppo misto in attesa di una nuova avventura.
meloni governo berlusconi giuramento
D'altra parte, dalla Lega a Italia viva, passando per gli ex M5S, già in tanti sono approdati alla corte della Meloni. Nomi di peso come il sindaco di Verona Federico Sboarina, che era stato eletto come civico in quota FI, l'eurodeputato leghista (e compagno di Marion Maréchal, la nipote della Le Pen) Sofo, i parlamentari salviniani Vinci e Barbaro, molti consiglieri regionali dal Molise al Trentino alla Lombardia, la renziana Baffi, perfino esponenti di Cambiamo come Baldassarre. «Stanno facendo una campagna acquisti vergognosa», denunciano da FI. E siamo solo all'inizio.
luigi brugnaro e giovanni toti silvio berlusconi