Gianmaria Tammaro per Dagospia
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A un certo punto, non si sa bene quando o perché, qualcuno deve aver pensato che le riprese con il drone, su una città di notte, ben illuminata, meravigliosa com’è meravigliosa Roma, siano un inizio imprescindibile per una grande produzione televisiva. Sempre quel qualcuno, probabilmente subito dopo il suddetto certo punto, deve essersi reso conto di aver pensato una sciocchezza, perché le riprese con il drone sono belle solo se hanno un senso, solo se vedere una città dall’alto serve, e non se fanno da riempitivo.
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“Celebrity Hunted”, dal 13 marzo su Amazon Prime Video, comincia con una sequenza girata con un drone, che mostra la capitale al buio, nelle sfumature arancioni delle luci, dal Colosseo agli altri grandi monumenti, e che prova – sì, via, ci prova – a impostare il tono del racconto, di questa infinita caccia all’uomo che sta per consumarsi. E quindi via per le strade deserte, su per i palazzi, lontano dal popolino, lì dove tutto sembra meraviglioso e perfetto, finché non si ritorna con i piedi per terra, in una camionetta stipata di persone.
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Dettagli, altri dettagli: una scarpa, una mano, un’altra scarpa. In teoria, questo è il momento principe, quello che dovrebbe far capire al pubblico che sì, “Celebrity Hunted” è un gioco ma ehi, è anche una cosa serissima, un mix di adrenalina, suspense, tensione ed eccitazione. E invece viene fuori fiacco, debosciato, inconsistente; lo guardi e ti chiedi, “davvero?”. Cioè, davvero Amazon ha scelto questa cosa qui, questo reality, questo game, come sua prima, vera produzione originale italiana? Davvero pensano che all’italiano medio non piaccia altro che vedere gente famosa azzannarsi, inseguirsi, fare a gara e nascondersi? Sì, a tutte e due le domande.
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Sì, agli italiani piacciono questi show; sì, Amazon deve aver pensato che il modo migliore per fare breccia nei cuori delle italiche genti è attraverso un reality, una produzione sontuosa, piena di gente famosa (in più o meno ordine: Francesco Totti, Fedez, Luis Sal, Claudio Santamaria, Francesca Barra, Costantino della Gherardesca, Diana Del Bufalo e Cristiano Caccamo), ambientata nella città eterna. Il problema, però, è che se funziona (e chi lo sa: quanti abbonati attivi di Prime Video ci sono in Italia? L’offerta per le zone rosse aiuterà? E quanti di questi spettatori furiosi vogliono rivedere le stesse cose che la vecchia televisione pubblica ripropone da anni?), funziona per le ragioni sbagliate; funziona perché è tutto così assurdo, così poco credibile, così finto e plasticoso da diventare appassionante. Ma attenzione: appassionante non nel senso di evocativo, ispirante o curioso; appassionante nel senso di incerto, titubante, straniante (come Totò e quella scenetta che fece allo Studio 1, “voglio vedere dove vuole arrivare”).
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L’unico che si salva dopo la prima puntata è Totti: il Capitano, l’uomo che ha unito Roma Nord e Roma Sud, colui che tiene messe come le tiene il Santo Padre. E che qui, in “Celebrity Hunted”, va contro tutto e tutti, si sceglie una strategia vincente, e si ritaglia il suo posto al sicuro in un monastero, in mezzo a preti e cellette abbracciando lo spirito giusto con cui affrontare questa nuova, straordinaria avventura: la leggerezza. Non prendersi troppo sul serio (come, invece, quelle riprese dall’alto dei primissimi minuti vogliono fare), e non crederci nemmeno così tanto (alcune telefonate che fanno i concorrenti sono, credeteci, surreali: al limite del patetico).
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“Al cuore, Ramon; punta al cuore!”, diceva il Joe di Clint Eastwood al brigante interpretato da Gian Maria Volontè. “Celebrity Hunted” non punta al cuore, ma punta alla pancia; e chissà, magari a qualcuno potrebbe anche piacere. La storia è: un gruppo di celebrità si dà alla fuga, deve vivere lontano dai radar per qualche giorno, mentre alcuni super-investigatori (oddio) prova a rintracciarli. È una variante molto più costosa e molto più sofisticata di “guardie e ladri”. Ma quello è un gioco per bambini, e piace ai bambini; questo è un gioco per adulti, di cui, francamente, non si sentiva nessun bisogno.
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