Gianmaria Tammaro per Dagospia
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Siamo alla quarta stagione, partita il 10 maggio su Sky Atlantic, ma “Billions” non accenna a rallentare. Intrighi, colpi di scena, nuovi scontri. Chi vince o chi perde sono, nell’assurdo, solo due dettagli. L’importante è quello che c’è nel mezzo, come Chuck, interpretato da Paul Giamatti, uomo di legge assetato di potere e di successo, o Bobby, interpretato da Damian Lewis, miliardario e eroe del popolo più volte indagato, riescano ad ottenere quello che vogliono.
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I protagonisti, nel corso di queste stagioni, sono sempre stati loro. Sempre. Tra alti e bassi, tra momentanei passi indietro, tra qualunque cosa il mondo gli riservasse. Per un po’, per un bel po’, sono stati rivali. E “Billions”, intelligentemente, si reggeva su questo equilibrio precario. Poi, con l’introduzione di nuovi personaggi, con un nuovo potente imprenditore, oligarca russo, e con l’arrivo di un nuovo procuratore generale, boss di Chuck, le cose sono cambiate. E i due, sorpresa, hanno trovato un vero accordo, qualcosa che li ha messi dalla stessa parte del tavolo.
Merito di Wendy, interpretata da Maggie Riff, moglie di Chuck e consulente per Bobby: si è ritrovata nel fuoco incrociato, a un certo punto, e ha rischiato tutto, anche il matrimonio, prima di riuscire a venirne fuori e a fare incontrare i due uomini della sua vita.
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“Billions” è una serie cervellotica, intensa, piena di riferimenti e citazioni, piena di quella grammatica narrativa che, da “West Wing” in poi, passando anche per il “Newsroom” di Aaron Sorkin, è sempre piaciuta allo spettatore. Due uomini di potere che si fronteggiano, che si scontrano, che non hanno paura dei colpi e, anzi, appena possono ne infliggono al loro avversario.
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È anche la storia di chi può fallire di più, e più pesantemente, che piace tanto. Una sorta, ecco, di vendetta trasversale, consegnata sul piccolo schermo all’uomo della strada.
La nuova stagione deve mantenere tante promesse e deve anche tenere alto il ritmo: è questa la cosa più importante. Il ritmo, la musicalità, lo spazio che trovano e in cui si inseriscono colpi di scena e tradimenti, pensate geniali e, pure, fallimenti colossali. È un sali-e-scendi continuo, uno spartito musicale fatto di parole e d’immagini, e complimenti ai creatori e sceneggiatori: hanno capito dove andare e a che note mirare.
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“Billions” è una serie da vedere con attenzione, da studiare e da cui, poi, lasciarsi catturare; è una delle sceneggiature migliori che ci sono oggi in televisione, figlia di tanti e tanti anni di altri show e di altre serie, e anche di personaggi enormi, mastodontici, con cui potersi confrontare e da ricordare. Quando è partita, rischiava d’assomigliare troppo, per le sue lotte di potere, a “House of Cards”.
Che faccia parte di quel filone lì, di quelli che hanno deciso di investire nel racconto del potere, è innegabile; ma è altrettanto innegabile che sia riuscita a ritagliarsi un solco totalmente nuovo, inesplorato, dove – finora – ogni cosa, ogni pensata, ogni battuta, ogni monologo, ogni dialogo tra i due Golia, Chuck e Bobby, ha funzionato.
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La cosa interessante è che, di contro, i due mostri possono diventare anche Davide, e perdere, e poi rialzarsi, e insistere. Ci troviamo davanti a una serie che ama la tragedia, il dramma, e che, alla prima occasione, non esita a metterle in scena. Il segreto del successo di “Billions” è tutto qui: è dare benzina a crimini che, fino a qualche anno fa, erano “noiosi” (quelli finanziari), è affidarsi ad attori incredibili, primo tra tutti Giamatti; è andare per la sua strada, sempre, e dare al pubblico quello che il pubblico vuole – con intelligenza. Bisogna sapere, però, quando fermarsi. Due giorni fa, è stata annunciata una quinta stagione. Che va bene, va benissimo: ma se c’è una cosa che la storia seriale c’insegna è: mai, mai, tirarla troppo per le lunghe.
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