Valentina Ariete per “la Stampa”
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Locali fumosi, ballerine con i capelli arricciati e abiti luccicanti: il cabaret è stato inventato nella Berlino degli Anni 20 e gli autori di Babylon Berlin volevano rendere giustizia a quel periodo storico. Al cinema abbiamo visto l'opulenta decadenza della Repubblica di Weimar in Cabaret, in cui Liza Minnelli canta proprio «la vita è un cabaret». In tv gli autori Hendrik Handloegten, Tom Tykwer e Achim von Borries hanno deciso di esplorarla attraverso la lente del commissario Gereon Rath (Volker Bruch), che arriva da Colonia nella grande città.
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La quarta stagione della serie tedesca più costosa di sempre arriva su Sky Atlantic e Now il prossimo 11 ottobre e non potrebbe essere più attuale: in un momento in cui tutto il mondo vira a destra, Italia compresa, la Berlino del 1929 dà molto su cui riflettere. Come confermano i creatori: «La città non era in buona forma: la vita era difficile. C'era crisi ovunque, le persone perdevano il lavoro. Soltanto pochi anni prima era piena di energia, creatività, nuove idee e tecnologie. Poi tutto ha preso una direzione completamente diversa molto velocemente, in modo quasi inspiegabile. C'era quindi qualcosa di oscuro dietro tutta quella bellezza?
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Gli Anni 20 erano stati pieni di splendore e per un momento c'è stata l'idea che, continuando a ballare e fare festa, quei tempi sarebbero tornati. Invece l'oscurità era dietro l'angolo». Stava infatti nascendo il Reich, che avrebbe portato poi all'ascesa di Adolf Hitler e alla Seconda Guerra Mondiale: «Dopo la Grande Guerra il sistema politico tedesco si è trasformato: è arrivata la democrazia per la prima volta.
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Quindi all'improvviso c'era molta libertà: stranieri e donne hanno avuto più possibilità. In Germania sono arrivati tanti Russi, le mogli sono andate a lavorare mentre i mariti erano al fronte. Succede sempre così: i patriarchi arrivano a ristabilire l'ordine. Dicono subito: non ci piacciono queste donne che ballano, non vogliamo gli stranieri in casa nostra. Anche i media erano nuovi: si è diffusa la radio, le persone di colpo ascoltavano notizie da una voce proveniente da una scatola.
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La complessità del mondo è aumentata esponenzialmente. Gli anni '20 davvero sono stati una danza sull'orlo del vulcano. È la stessa cosa che sta accadendo oggi: ad esempio nessuno comprende il cambiamento climatico. Se arriva qualcuno con delle risposte molto facili ti fa felice e lo segui subito».
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Involontariamente, la serie è diventata attualissima: «Quasi dieci anni fa, abbiamo avuto la giusta intuizione di scegliere proprio quest' epoca. Ci sono delle similitudini inquietanti. In ogni crisi, e oggi ce ne sono più di una, la società tende a dare risposte simili. Però ci siamo imposti di non giudicare quegli anni con il punto di vista moderno. Ci siamo concentrati sulla coscienza del nostro protagonista. Quando nella serie sta arrivando un nazista non sappiamo ancora che lo diventerà: lo conosciamo prima. Così comprendiamo meglio come si è arrivati a quel punto».
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Provare empatia per un nazista? Babylon Berlin ci prova: «Un cattivo per cui non ti ritrovi a fare il tifo non è un vero cattivo: è un cliché. Sono persone con dei sentimenti e c'è qualcosa di affascinante in loro: una debolezza, una paura. Ti ritrovi a capirli. Se la storia fa questo allora ti ha raccontato una vera persona e non uno strumento narrativo che serve per far odiare qualcuno ai protagonisti».
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Insieme a Squid Game e La casa di carta, Babylon Berlin è tra la serie non in lingua inglese più viste in tutto il mondo. Una fonte d'orgoglio per gli autori: «I nostri figli, che hanno 20 anni, non vogliono più vedere gli show americani: li vedono da una vita! Sono molto più curiosi di storie provenienti da altre culture, come quelle coreane. Sono più aperti. Questo è il potere dello streaming: ha spalancato le porte a racconti provenienti da tutto il mondo».
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