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«Murder on the dancefloor...», cantava nel 2001 Sophie Ellis-Bextor: e il brano, inopinatamente, dopo più di vent’anni è balzato di nuovo ai vertici delle classifiche inglesi, con grande sorpresa dell’autrice. Merito di «Saltburn» — cui fa da colonna sonora —, il film di cui in questo momento a Londra tutti parlano e tutti scrivono: uscito a ottobre nei cinema senza neanche troppe fanfare, subito prima di Natale è stato reso disponibile su «Prime» e durante le vacanze è diventato in poco tempo il film più visto in streaming.
Un vero caso, al di là dei suoi meriti cinematografici, discutibili e assai discussi: perché la pellicola diretta da Emerald Fennell, la geniale regista che ha anche dato il volto alla giovane Camilla in «The Crown», ha toccato come un nervo scoperto tutte le ossessioni degli inglesi, dalle dinamiche di classe all’aristocrazia bacata, dall’arrivismo borghese alla mitologia di Oxford, fino alla gioventù bella e dannata.
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«Saltburn» è una commedia macabra che remixa all’acido «Ritorno a Brideshead» di Evelyn Waugh con «Il talento di Mr Ripley»: i debiti, in primo luogo con lo scrittore britannico, sono riconosciuti, ma il film gioca le sue carte soprattutto in un crescendo di eccessi, fra atti di necrofilia, scambi di sangue mestruale e ancora peggio, fino al finale choc. A Londra, fra i più giovani, gira su TikTok il meme «per qualsiasi ragione, NON guardatelo coi vostri genitori!». E la critica dello «Spectator» ha ammesso di averlo visto con le dita sugli occhi...
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La storia è quella, ambientata nel 2006, di un ragazzo di umili origini (interpretato da Barry Keoghan) che arriva a Oxford […] e riesce a introdursi nella cerchia dei giovani aristocratici, belli e viziati, che frequentano il college, fino a farsi invitare per l’estate nella loro tenuta in stile Downton Abbey: ma le conseguenze saranno devastanti. Protagonisti sono il nuovo idolo rubacuori Jacob Elordi e una magistrale Rosamund Pike, che impersona l’algida, nobile matriarca e pronuncia la battuta dell’anno, quando al giovane e attonito ospite spiega con volto impassibile che «sai, sono stata lesbica per un periodo, ma alla fine era tutto un po’ troppo umido».
Il film è prima di tutto una satira sociale, ma resta ambiguo: gli aristocratici, alla fine, appaiono vacui ma innocui […] e nella vandalica noncuranza nei rapporti personali, mentre la violenza vera è riservata all’arrampicatore borghese. Ma forse il messaggio è che l’unico modo per liberarsi della presa dell’upper class è (spoiler) ammazzarli tutti.
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[…]
Il suo successo si spiega con l’intramontabile fascinazione degli inglesi per le classi alte (vedi di nuovo Downton Abbey) ma anche con il loro gusto allo stesso tempo punk e dissacrante: il film più divisivo dell’anno, lo hanno definito. Non guardatelo in famiglia.
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