Estratto dell'articolo di Alberto Mattioli per “La Stampa”
Sgarbi vestito da brigante chiavone
Vittorio Sgarbi ha molti difetti, ma almeno un pregio: non è ipocrita. Due giorni fa, a Viareggio, dove si è curiosamente presentato vestito da brigante Chiavone per celebrare non so quale festa del comune di Arpino di cui è sindaco, ha detto chiaro e tondo che la stagione dei direttori stranieri di (pochi) musei italiani «è finita. Siamo arrivati noi, se ne vanno loro».
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Ieri, tolti i panni del brigante, Sgarbi ha rettificato spiegando che stava scherzando. Però, in attesa che qualcuno spieghi a lui che un sottosegretario non può fare battute come qualsiasi altro cabarettista e che, se è un pregio dire quello che si pensa, bisognerebbe almeno pensare (e pesare) quello che si dice, il messaggio è stato lanciato. Anzi, ribadito.
I tre direttori di "prima fascia" di cui parla Sgarbi, cioè James Bradburne a Brera, Eike Schmidt agli Uffizi e Sylvain Bellenger a Capodimonte, se ne dovranno andare comunque, perché il decreto di Franceschini del 2014 sulla base del quale sono stati scelti impone a tutti i direttori, italiani e no, di lasciare l'incarico dopo due mandati consecutivi di quattro anni, e tutti e tre sono lì dal 2015. Tutto in regola, dunque. Ma, a suo tempo, il ministro Gennaro Sangiuliano dichiarò, bontà sua, di «non avere pregiudizi» sugli stranieri ma che «la scelta non deve diventare un provincialismo al contrario».
eike schmidt
E lo stesso Sgarbi annunciò che «per il prossimo bando penseremo a commissioni i cui membri siano più legato al territorio». Insomma, anche in questo campo i sintomi per una svolta nazionalsovranista ci sono tutti. Tutto questo è peggio che grave: è ridicolo. Nel 2023, per noi cittadini europei di nazionalità italiana, che un manager culturale sia italiano o straniero è del tutto indifferente. L'unica cosa importante è che sia bravo.
eike schmidt