Irene De Arcangelis per “la Repubblica”
BANDA DEL BUCO NAPOLI
Agili, indossano tute bianche e stivali di gomma, la torcia accesa sul casco come i minatori. Ognuno di loro è specializzato. C’è chi studia le mappe e chi controlla i cunicoli, chi fa lo “scavatore”. Quindi subentra il secondo gruppo della banda: quello che irrompe nel negozio o nella banca lungo la strada preparata dai complici. Sono i padroni della “Napoli di sotto”, città sottoterra che si estende per decine e decine di chilometri e lungo milioni di cunicoli sotto la strada.
Mondo sconosciuto ai napoletani, in piccola parte noto durante la Seconda guerra mondiale per i suoi rifugi, senza segreti per le bande del buco. Più di una, tutte formate alla stessa scuola criminale del rione Sanità, dove si narra di Scé Scé, ex fognarolo del Comune negli anni Sessanta diventato il maestro degli aspiranti “rapinatori delle fogne”. Ieri i carabinieri ne hanno presi sei. Tra loro c’è anche una donna. Non è stato facile rintracciarli.
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L’indagine è durata sette mesi e ha un bilancio di sei colpi falliti a gioiellerie nel cuore della Napoli dello shopping. Bersaglio mancato per due volte Bulgari. Nomi come Bruno & Pisano (gruppo Richemont) e Monetti.
Novembre scorso, al centro dell’elegante piazza de’ Martiri, i carabinieri ne colsero tre sul fatto. Bloccati nei cunicoli prima ancora di raggiungere la gioielleria Bruno & Pisano. Arrestati, vennero intercettati in carcere. Piangevano sui trecentomila euro a testa che avrebbero intascato se il colpo fosse andato a buon fine, convinti che i carabinieri della compagnia Centro li avevano trovati «per colpa di un infame». Preparazione del furto complessa ma che rende più che bene.
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L’esempio più eclatante risale a ventisei anni fa. I rapinatori delle fogne entrano dal pavimento della Banca della Provincia di Napoli e svuotano sessantasei cassette di sicurezza. Nel bottino c’è il pallone d’oro dato a Diego Armando Maradona dopo i Mondiali del Messico, 110 chili di metallo prezioso per un miliardo e 700 milioni di lire di allora. I pentiti della camorra raccontarono poi che il pallone venne fuso subito dopo il colpo.
Tecnica consolidata e caratteristica della criminalità napoletana. Con un copione da rispettare come ha fatto la banda arrestata ieri. D’obbligo si comincia dai Quartieri Spagnoli. Nel dedalo di vicoli c’è sempre, nei cortili, il tombino nascosto alla vista che conduce alle fogne. Lì la banda che ha ereditato gli insegnamenti di Scé Scé si muove liberamente nella “Napoli di sotto”, riconosce le strade senza vederle.
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Arriva alla fine di via Chiaia, porta d’ingresso alle vie delle griffe. Si apre un passaggio verticale tra la rete fognaria e quella, più superficiale, dei sottoservizi. Quindi si striscia tra tubi, condotte, cavi, ammassi di terriccio. La banda di ieri ha seguito tutte le regole per poi scegliere, di volta in volta, la diramazione per questa o quella gioielleria. Lavori notturni, di solito. Quindi l’intervento dello specialista “del velo”. E uno dei membri della banda che interviene quando tra il cunicolo e l’obiettivo è rimasto solo qualche centimetro di cemento.
Deve scavare a mano, per far sì che resti intatto solo lo strato delle mattonelle del negozio. Quando arriva il momento del colpo basta una spallata, e gli uomini in bianco saltano fuori uno dopo l’altro, armati fino ai denti e con grossi sacchi di juta in spalla per recuperare il bottino.
«Io li vedevo dalla strada — ricorda Barbara Pisano, titolare della prestigiosa gioielleria di via Calabritto rapinata nel 2014 — Tenevano in scacco i dipendenti e io non potevo entrare. Portarono via tutto, anche i miei gioielli di famiglia. A Napoli tutto costa di più e tutto è più difficile per un imprenditore. Adesso abbiamo gli accessi sottoterra blindati con l’acciaio, ma non posso lasciare la città più bella del mondo. La mia famiglia è qui dal 1947, anche se non so se è il futuro ideale per le mie figlie...».
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La rapina in diretta, quindi un altro salto e i rapinatori che vengono ingoiati nel buco che hanno aperto, la fuga a ritroso lungo la strada sotto terra. Imprendibili. Corrono nella città “di sotto” mentre le forze dell’ordine li cercano nella Napoli di sopra. Sbucano poi dal tombino sotto casa e il gioco è fatto. Una doccia e l’attesa prima di piazzare la merce rubata. Dice uno di loro nelle intercettazioni: «Devo farlo, certo non posso vivere con quattrocento euro al mese...».