Massimo Franco per il Corriere della Sera
Prodi
Su Mario Draghi: «Credo che l’incognita dei prossimi mesi riguardi molto Draghi: se sceglierà un grande potere limitato nel tempo, o meno potere ma grande autorità per un tempo molto più lungo». Su Sergio Mattarella: «Conoscendolo, se dice di non volere essere rieletto, sarà così. Credo a quello che dice». Su se stesso: «Non c’era bisogno del no di Berlusconi per farmi mancare i voti nel 2013.
Con la bocciatura al Quirinale non ci sono problemi, non era cosa che facessi il capo dello Stato, tutto qui. Debbo anche aggiungere che gli anni successivi sono stati tra i più felici della mia vita…». E nel voto del 2022 «starò a guardare…», assicura, proseguendo una vita strana e fortunata, la definisce Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo, ex premier ed ex presidente della Commissione Ue. Ha deciso di raccontarla insieme con Marco Ascione, in un libro sorprendente, a tratti puntuto, edito da Solferino; e che si intitola proprio Strana vita, la mia.
Strana perché?
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«Ma perché è stata dettata tutta da fatti esterni, non guidati. E direi anche fortunata. La mia famiglia, un buon liceo, l’università Cattolica a Milano, con un mondo cattolico in fermento che era all’avanguardia in Italia. Poi casualmente ministro dell’Industria quando Pandolfi mi suggerì a Andreotti. Poi la crisi dei partiti e l’esigenza di ricostruire il riformismo, riunendo chi era stato diviso dal Muro di Berlino…».
È una casualità un po’ sospetta, professor Prodi. Nessun calcolo, nessuna strategia?
«Ammetto che nella costruzione dell’Ulivo una strategia c’è stata. A quel gesto non sono stato spinto. L’ho compiuto perché volevo interpretare un’esigenza diffusa che coglievo nel Paese. E quell’esigenza rimane, anche se non si può declinare più come Ulivo. Il riformismo deve trovare un’identità nuova dopo 35 anni di un liberismo che ha devastato i diritti sociali».
Ma il Muro di Berlino divise anche i moderati. E la sua caduta li ha riuniti, con una grande forza.
«Certamente, e allora li riunì Berlusconi creando il centrodestra; ora non saprei. Io mi occupai del campo riformista. Il problema è che in quel campo c’erano riformisti speciali come Bertinotti, che per la paura di vedersi erodere la base si tirarono indietro».
Lei racconta che l’Ulivo si collegò con l’indignazione popolare espressa dal pm Antonio Di Pietro. Col senno di poi, una virtù o un peccato originale?
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«Era un’evoluzione obbligata. In quel momento Di Pietro era coerente col mio disegno. Certo la sua meteora e il suo cambiamento sono stati più rapidi del previsto».
Nel libro dice che «con la destra al governo» l’Italia non sarebbe mai entrata nell’euro». Che cosa glielo fa pensare?
«Il fatto che avesse assunto profondamente l’idea che la fine della lira e il legame con l’Europa avrebbero eroso il collante del centrodestra. Allora, i voti di quell’area guardavano più al passato che al futuro. E seguivano un’ottica nazionale più che internazionale. L’appello era a una base conservatrice che tra lira ed euro preferiva la prima».
Eppure Berlusconi oggi è un europeista convinto.
«È stato il capolavoro di Helmut Kohl. Lui dava giudizi taglienti su Berlusconi, ma accolse FI nel Partito popolare europeo. Gli dissi: “Ma che stai facendo?”. Mi rispose: “Ho passato tutta la vita a combattere i socialisti e non posso cambiare ora. E se FI sta nel Ppe, lì comando io”. Aveva ragione lui: FI è oggi una forza europeista».
Lei sostiene che l’Italia può esprimere il suo ruolo solo se pesa a Bruxelles. Con Draghi abbiamo fatto un passo avanti.
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«Certamente, è già così. Abbiamo recuperato in immagine internazionale, ci sono gli aiuti del Next Generation Plan. La Ue ha compiuto un grandioso passo avanti grazie alla conversione di Angela Merkel e della Germania. E grazie alla Brexit, senza la quale non ci sarebbe stato il ripensamento: ex malo bonum. Semmai, il problema è la Francia. Il nostro futuro è con gli Stati Uniti, ma l’Europa deve avere più forza nella Nato, e può farlo solo se la Francia mette a disposizione l’arma nucleare e il potere di veto all’Onu, rendendoli risorse non nazionali ma europee. Non è scontato: la Francia è un Paese particolare» .
Dopo essersi definito un «cattolico adulto», si definisce anche atlantista adulto. Che significa?
«Significa che il nostro destino politico e militare è con gli Usa. Ma che bisogna tenere conto degli interessi nazionali ed europei, e dunque anche dell’esigenza di dialogare con la Cina».
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Non offrirà pretesti a chi, in alcune cancellerie occidentali, la raffigura come amico di Putin e della Cina?
«Dicano quello che vogliono. Ho insegnato negli Stati uniti, prima che in Cina, in anni non sospetti. E mai nessuno ha potuto vedere nella mia vita il minimo di incoerenza nei rapporti con l’America. Quando andai in Iran in pieno embargo si può pensare che non mi fossi consultato con la Casa Bianca? Parlai tre volte con Clinton. So cos’è la storia. Tutti sono in grado di parlare con san Francesco, ma è più difficile parlare con il lupo. E si dovrà fare così anche col governo afghano, se vogliamo portare gli aiuti umanitari a chi ne ha bisogno e tirare fuori i nostri collaboratori».
Il lupo è anche la Cina?
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«Con la Cina occorre trovare un modus vivendi. Non so se si troverà, ma bisogna cercarlo. Dipende molto dalla Cina e dagli Usa. Di fatto, gli Stati Uniti stessi ci danno l’esempio di un possibile compromesso: mantengono una tensione fortissima nel campo dell’alta tecnologia, ma il resto del commercio continua alla grande».
Come ricorda la bocciatura al Quirinale nel 2013? Nel libro parla di 118 o 120 franchi tiratori, non 101. Il no di Berlusconi pesò anche sul Pd?
«Non c’era bisogno del no di Berlusconi per spingere una parte del Pd a farmi mancare i voti: è stata una fatica inutile! Mi dispiace soprattutto che in conseguenza di quell’episodio il Pd si sia ulteriormente diviso. E in questo senso il Partito democratico ci ha rimesso più di me. D’altra parte ho sempre ritenuto che non fosse cosa che facessi il capo dello Stato, tutto qui. E gli anni successivi sono stati forse per me i più belli della mia vita».
Non ha voglia nemmeno Mattarella di essere rieletto.
arturo parisi romano prodi
«Conoscendolo, quando dice una cosa la mantiene. Dunque credo a quello che dice. Se poi arrivassero momenti drammatici, che non vedo né oggi né in prospettiva, certamente il capo dello Stato sentirebbe il dovere di cambiare idea».
Invece vede Draghi al Quirinale?
«Dipende da cosa sceglierà di fare: se avere grande potere per un periodo limitato, o grande autorità per un tempo molto più lungo».
Cioè se sceglie Palazzo Chigi o il Quirinale. Ma nei conclavi chi entra papa esce cardinale.
«Dovunque ci sia un voto segreto si annida il rischio. Ne sono un buon testimone diretto».
Lei starà solo a guardare, da cardinale laico? Ci credono in pochi, anzi quasi nessuno.
«Le assicuro, come ho scritto nel libro, che starò a guardare da laico, non essendo nemmeno cardinale».
sandra zampa romano prodi
Esce il 16 settembre, per Solferino, il libro di Romano Prodi, scritto con Marco Ascione, Strana vita, la mia (pp. 226, € 17,50). Prodi lo presenterà a Roma il 21 settembre, alla Feltrinelli di Galleria Alberto Sordi (ore 18, con Enrico Letta e Marco Ascione). Poi a Bologna, il 24 settembre, nell’ambito della rassegna «La voce dei libri», in Sala Borsa. Infine a Milano, nella Sala Buzzati della Fondazione Corriere della Sera, il 1° ottobre (ore 18.30), con Marco Ascione e il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana.
DUE CARISSIMI NEMICI RIUNITI DALLA SAGGEZZA
Romano Prodi e Marco Ascione per il Messaggero
C'è chi parla ora del Professore e del Cavaliere, ormai ottuagenari, come «carissimi nemici», accomunati dall'aver vissuto, politicamente parlando, nella stessa cornice, quando ancora non imperavano i sovranismi. Un po' Coppi e Bartali, si è detto. «Con Berlusconi non si è mai creato un vero rapporto, né prima, né durante né dopo la mia esperienza di governo. A parte alcune inevitabili telefonate quando ero a Palazzo Chigi. Lo chiamai per informarlo delle conclusioni della conferenza per il Libano nel 2006.
bertinotti prodi
E lui, a proposito della difficoltà di tenere in piedi le rispettive coalizioni, mi disse: Anche tu hai i tuoi matti. Nei rapporti continuativi, che sono indispensabili fra governo e opposizione, ho abitualmente fatto riferimento a Gianni Letta, un canale che si è sempre dimostrato utile per spiegare le diversità e, anche, per preparare i necessari compromessi. Si è detto che recentemente sono state smussate antiche asprezze, come se fossero cambiati i nostri punti di riferimento. Credo che le differenze sul futuro politico e sociale del Paese rimangano, ma questo non mi ha impedito di apprezzare una convergenza su importanti capitoli di politica europea. Che la vecchiaia porti saggezza mi sembra incontrovertibile».
TELEKOM SERBIA Ma per Prodi una «maggiore convergenza» dovrebbe passare non solo da «un confronto sui fondamentali in politica, ma anche dall'analisi di alcuni eventi che hanno avuto grandi conseguenze sul futuro del nostro Paese». Eccoli, gli eventi. «Non mi è infatti facile dimenticare la comprovata compravendita di parlamentari per far cadere il mio secondo governo.
ANGELO ROVATI ROMANO PRODI
Oppure la campagna alimentata da Forza Italia e dal centrodestra su Telekom Serbia. Contro di me e alcuni miei colleghi è stata allestita addirittura una commissione parlamentare.» Telekom Serbia, ossia la vicenda giudiziaria nata dalle dichiarazioni del faccendiere Igor Marini, secondo il quale, nell'ambito dell'acquisto di azioni dell'azienda telefonica Telekom Serbia, da parte di Telecom Italia, furono pagate tangenti a Prodi, a Dini e a Fassino, agenti sotto i «misteriosi» nomi di mortadella, ranocchio e cicogna. Accuse rivelatesi completamente false, così come i documenti che le sostenevano. Il governo Berlusconi, nel 2008, istituisce, appunto, una commissione d'inchiesta che non porta a nulla.
cesare romiti romano prodi
«Chissà quanto e a chi è costato pagare tante persone a Belgrado e a Montecarlo perché costruissero documenti falsi. Quando nel 2004 il magistrato di Torino che indagava su Telekom Serbia mi ascoltò, io arrivavo da Bruxelles come presidente della Commissione Ue. Mi chiese: Lei torna a Bologna? Passi allora dalla Madonna di San Luca, per grazia ricevuta, perché proprio ieri è arrivata da Montecarlo la rogatoria che chiarisce l'origine di quei documenti, provando senza ombra di dubbio la loro totale falsità e quindi la completa estraneità ai fatti da parte sua e di tutti gli altri accusati. Se ci fosse stato un ritardo, la Procura avrebbe dovuto spedire le carte al Tribunale dei ministri. Certo, io sarei stato poi assolto a formula piena ma, intanto, mi sarei dovuto dimettere da presidente della Commissione europea».
Romano Prodi e John Elkann prodi putin berlusconi e solana nel 2003
BERLUSCONI PRODI prodi berlusconi confronto tv