1. LA BUONISSIMA USCITA
Massimo Gramellini per “la Stampa”
martin winterkorn amministratore delegato volkswagen
Ma a voi sembra normale che il capo dimissionario della Volkswagen riceva 31 milioni e rotti di buonuscita? Il rapporto causa-effetto vacilla. Martin Winterkorn non lascia l’Auto del Popolo per meriti acquisiti, ma perché la fabbrica di cui è il manager supremo è stata travolta da uno scandalo senza precedenti e dalle ricadute gigantesche.
Il buonuscente ha già messo le mani e il portafogli avanti, dicendo che il taroccamento dei motori diesel è avvenuto a sua insaputa. Ma non può sottrarsi alle responsabilità, quantomeno di mancato controllo. Perché delle due l’una: o sapeva della truffa e allora come capo è colpevole, o non ne sapeva nulla è allora come capo è scarso. In entrambi i casi i 31 milioni rappresentano un riconoscimento ingiustificato.
Ed è stupefacente che proprio i tedeschi, così attenti alle ragioni del merito e così ossessivamente connessi al concetto di colpa, concedano a Winterkorn un compenso che sa di insulto al buonsenso oltre che al buongusto. Ma il contratto lo prevede, si dirà. Di sicuro prevedrà delle eccezioni per i casi in cui il manager abbia arrecato un grave danno all’azienda, che lo pagava così bene anche perché all’occorrenza si assumesse il ruolo di capro espiatorio. Altrimenti uno dovrebbe concludere che per una ristretta categoria di superuomini non valgano le regole applicate ai comuni mortali. Si fa fatica a immaginare che un operaio della Volkswagen licenziato per avere avvitato male un bullone avrebbe ricevuto 31mila o anche solo 31 euro di bonus.
WINTERKORN
2. LA MAXI-LIQUIDAZIONE DA 60 MILIONI SE IL MANAGER SBAGLIA (E NON PAGA)
Giovanni Stringa per il “Corriere della Sera”
Ventotto (e oltre) milioni di euro di pensione totale. Una buonuscita (forse) da 32 milioni di euro. La poltrona, che già occupa, nel consiglio di sorveglianza della squadra di calcio Bayern München. E un’auto Volkswagen a disposizione per gli anni a venire. La lista di quel che resta a Martin Winterkorn, neo ex amministratore delegato di Volkswagen, non è corta e non è scarna. L’onda lunga dello scandalo delle emissioni Volkswagen ha travolto la sua super poltrona automobilistica ma non tutto il suo regno, che si tratti di soldi, incarichi o piccoli (in proporzione) benefit.
MARTIN WINTERKORN jpeg
«Se solo nella vita tutto fosse affidabile come una Volkswagen», recitava uno spot della casa tedesca degli anni Ottanta: una bella ed elegante protagonista lasciava arrabbiata un compagno fedifrago, lanciava per terra anello di fidanzamento, pelliccia e gioielli vari da lui regalati, ma — tirando fuori dalla borsa le chiavi della Golf — decideva di tenersi l’auto, con cui chiudeva lo spot allontanandosi soddisfatta (mentre, in sovraimpressione, campeggiava il riferimento all’affidabilità delle quattro ruote «made in Germany»).
Non altrettanto soddisfatti possono oggi dirsi i conducenti delle 11 milioni di auto Vw con software manipolati per i controlli antismog. Soddisfatte sembrano invece essere le tasche di Winterkorn, almeno stando a quanto si legge nell’ultimo bilancio Vw al capitolo dei compensi. All’ex top manager, a meno di sorprese, spetterebbe una pensione complessiva di 28,6 milioni. A cui si aggiunge, come liquidazione, la retribuzione di due anni (31,8 milioni), anche se qui il consiglio di Wolfsburg potrebbe forse ridurre il maxi importo.
MERKEL ENTRA IN UNA GOLF ELETTRICA CON WEN JIABAO E WINTERKORN CAPO DI VOLKSWAGEN
L’anno scorso a Winterkorn sono andati 16,8 milioni (e 15 milioni nel 2013), vale a dire il secondo più grande pacchetto retributivo di tutta la Germania: da qui il calcolo dei 31,8 milioni di buonuscita. Fra le circostanze citate dal report c’è la decisione del consiglio di porre fine al mandato di Winterkorn prima della scadenza: se ciò avvenisse per un motivo di cui il manager viene ritenuto responsabile, la buonuscita potrebbe essere rivista in modo deciso. Tuttavia, in una nota l’azienda sostiene che Winterkorn non fosse «a conoscenza della manipolazione dei dati», ringraziandolo «per il suo elevato contributo» al gruppo, i cui ricavi sono quasi raddoppiati durante la sua guida. Winterkorn, annunciando le dimissioni, si è però assunto «la responsabilità delle irregolarità emerse riguardanti i motori diesel».
I numeri a otto cifre hanno inevitabilmente attirato l’attenzione e i commenti di tanti, dagli articoli dei siti della stampa finanziaria internazionale fino alle critiche di Beppe Grillo. Ma quello di Winterkorn non è l’unico pacchetto retributivo-liquidazione contestato in questi ultimi anni, tanto nel mondo delle aziende quanto in quello delle banche.
massimo gramellini (2)
Uno dei casi più eclatanti è quello di Lehman Brothers, fallita nel settembre del 2008 dopo 14 anni di governo dell’amministratore delegato Richard Fuld. Dal 2000 al 2007 i compensi totali del banchiere americano raggiunsero quota 300 milioni di dollari (quasi 270 milioni di euro al cambio di ieri). Fuld spiegò che l’85% della retribuzioni era in azioni Lehman e che la «grande maggioranza» di questi titoli non fu venduta prima del crac, diventando una sorta di pugno di mosche. Resta però il 15% di 300 milioni di dollari: non certo un semplice argent de poche . Grandi numeri non solo per Fuld, comunque. La stessa Lehman concesse una liquidazione da 20 milioni di dollari a due dirigenti licenziati poco prima del fallimento.
Sempre negli Stati Uniti la Enron, prima di precipitare nel 2001 dentro un vortice di conti truccati, aveva versato 744 milioni di dollari (663 milioni di euro) in bonus e azioni a 140 alti manager (5,3 milioni di dollari a testa). E nel 2008 il colosso delle assicurazioni Aig, su richiesta delle Autorità Usa, a seguito di un maxi salvataggio di Stato congelò un assegno da 19 milioni di dollari all’ex amministratore delegato Martin Sullivan pochi mesi dopo le dimissioni.
richard fuld, lehman brothers 2008
Tornando in Europa Fred Goodwin, alla guida della britannica Royal Bank of Scotland fino al 2008 — quando partì una pesante iniezione di denaro pubblico per sostenere la banca — vide evaporare compensi milionari. E gli fu annullato anche il titolo di «baronetto» concesso nel 2004. Honni soit qui mal y pense (sia svergognato colui che pensa male).