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Estratto dall’articolo di Giuliano Foschini e Romina Marceca per “la Repubblica”
alessia piperno
Alessia Piperno è stata fermata dalla polizia iraniana con l'accusa di aver partecipato a una manifestazione contro il regime. Per questo è stata portata nel carcere di Evin, quello dei prigionieri politici. L'accusa non è ancora stata notificata ufficialmente all'Italia. E questo è il lato positivo, il solo, della vicenda: in queste ore la Farnesina e i nostri Servizi stanno mettendo in campo tutto quello che è possibile per dimostrare quello di cui l'Italia è certa. E cioè che Alessia non abbia partecipato ad alcuna manifestazione.
Nel suo periodo in Iran non ha mai svolto attività politica, prova ne sia il fatto che dall'Iran volesse andare via al più presto, tanto da essere in attesa del visto per il Pakistan. Se, dunque - è il ragionamento che fanno i funzionari del Ministero e gli 007 - davvero gli iraniani le contestano un reato di tipo politico, si tratta certamente di un errore. È possibile per esempio che la posizione di Alessia, travel blogger, possa essere stata scambiata con quella di altri europei che dormivano nel suo stesso ostello. O che magari possano essere stati fraintesi i suoi viaggi, come quello nel Kurdistan iraniano dove la ragazza era recentemente anche passata.
carcere evin teheran
La questione è molto delicata: se l'accusa dovesse essere confermata, i tempi rischierebbero di allungarsi. Alessia dovrebbe infatti affrontare un processo e difficilmente potrebbe lasciare il carcere. L'obiettivo è invece ottenere immediatamente una scarcerazione e poi lavorare, magari, a un'espulsione. Possibilità sulla quale la Farnesina è ancora ottimista. Qualcosa si capirà già oggi quando la nostra ambasciata dovrebbe essere informata ufficialmente delle accuse. […]
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Sono ore di ansia, intanto, nella casa di Colli Albani, a sud di Roma, per la famiglia della ragazza con lo zaino sempre in spalla. […] In alcune storie su Instagram, Alessia Piperno aveva descritto la condizione delle donne in Iran e le difficoltà che anche lei aveva incontrato. David ribadisce quanto sostiene la Farnesina: "Mia sorella, a differenza di quanto ho letto da alcune parti, non ha mai partecipato a nessuna manifestazione di piazza. Non è un'attivista, era in viaggio. Nient' altro". […]
2 - "LE ORIGINI EBRAICHE POSSONO PROTEGGERLA DALLE VIOLENZE"
Francesca Paci per “La Stampa”
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«Chiunque sappia che è stata arrestata una cittadina italiana è in apprensione per lei, confidiamo nel fatto che l'Iran non ha mai avuto problemi con il governo di Roma. E' possibile anche che l'essere di origine ebraica protegga Alessia, perché laddove il regime degli ayatollah è ossessionato da Israele la popolazione non è mai stata antisemita e nessuno qui vuole passare per antisemita». La voce che arriva da Teheran appartiene a una ragazza che da dieci giorni manifesta contro l'hijab nel nome di Mahsa Amini sfidando la repressione della polizia, una che ha parecchi amici finiti nel famigerato carcere di Evin, dove pare sia stata portata anche la nostra connazionale.
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Tante sono le domande sulla situazione della giovane blogger romana, sulle motivazioni della sua detenzione e sullo stato del suo caso a livello politico nel momento in cui la somma autorità Khameini prima e poi il presidente Raisi additano l'infiltrazione straniera come causa dei disordini nel Paese.
E poi c'è il suo cognome, Piperno. Che va però contestualizzato, perché in Iran - dove la guerra contro il Grande Satana americano e il Piccolo Satana israeliano alimenta l'ideologica retorica complottista degli ayatollah - esiste un piccolo ma solido nucleo ebraico, circa 25 mila persone, la comunità più numerosa dell'intero Medioriente che ha un posto in Parlamento e la storica sinagoga Yusef Abad a Teheran, dove l'insegnate di Talmud Far-zin Farnooshi ripete di sentirsi «più sicuro che al Cairo o ad Amman».
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Difficilmente dunque, al netto dell'imprevedibilità della situazione, il regime che pure addita Israele potrebbe avere buon gioco nell'utilizzare un argomento che per esempio in Egitto sarebbe il perfetto capro espiatorio da dare in pasto a un'opinione pubblica alimentata alla diffidenza.
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