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    “AGNELLI ERA SINTONIZZATO IN PIENO SULL’ARTE, INVECE A BERLUSCONI PIACEVANO I QUADRI DEI GRANDI ALBERGHI” – SGARBI E IL SENSO DEL CAV PER LA "BRUTTA PITTURA": “APPLICAVA IL PRINCIPIO DELLA QUANTITÀ, VOLEVA REALIZZARE LA PINACOTECA PIÙ GRANDE DEL MONDO” – IL CRITICO LUCA BEATRICE: IN POCHI ANNI IL CAVALIERE COMPRÒ 25MILA “CROSTE” SPENDENDO 20 MILIONI € DURANTE IL SUO SHOPPING NOTTURNO. SI PUÒ DIRE CHE DI ARTE IL BERLUSCA NON CAPISSE NIENTE? SÌ, MA NON ERA IL SOLO, ANZI SI TROVAVA IN BUONA COMPAGNIA”


     
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    Luca Beatrice per “Libero Quotidiano” - Estratti

     

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    l senso di Silvio Berlusconi per la brutta pittura, uno dei suoi passatempi tardivi, perseguiti negli ultimi anni, si manifesta in circa 25mila quadri e oggetti accatastati in un hangar dalle parti di Monza che nessuno della famiglia e degli eredi reclama, anzi non vede l’ora di disfarsene perché il deposito costa ottocentomila euro all’anno, alcuni dipinti sono già danneggiati, attaccati dai tarli e, soprattutto, perché non valgono niente. Eppure, glielo avevano detto, gli avevano consigliato di non buttare via i soldi e semmai concentrarli sull’acquisto di “pochi ma buoni”.

     

    Niente da fare, neppure l’amicizia e la stima per Vittorio Sgarbi è servita a qualcosa. Pare che il Presidente abbia speso, in pochi anni, circa 20milioni di euro per oltre 25mila croste incorniciate in legno dorato. «Applicava il principio della quantità - dice Sgarbi - voleva realizzare la pinacoteca più grande del mondo. Nella proprietà ha trovato alcune opere pre-esistenti di Tiziano, Tintoretto, Procaccini, comprò un bel Nomellini, nella Villa di Lesmo vidi un disegno di Francesco Coghetti e il ritratto della moglie del Marchese Casati Stampa, l’anno prima di essere uccisa, opera di Pietro Annigoni. Poi è cominciato il delirio».

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    Paesaggi di Roma e Venezia ad imitazione della pittura del ‘700, nudi di donna, motivi sacri. Quasi niente di antico, spesso copie o temi di ispirazione classica realizzati da sconosciuti artigiani, come quelli che hanno i negozietti al mare e vendono agli sprovveduti turisti. «Mentre Agnelli - conferma Sgarbi - era sintonizzato in pieno sull’arte, Berlusconi abbiamo tentato di fermarlo, di fargli comprare quadri importanti, ma a lui piacevano quelli dei grandi alberghi».

     

    Ma Berlusconi era convinto di comprare per investimento o assalito da spirito collezionistico? Niente affatto, la sua era una forma di irrefrenabile shopping compulsivo notturno: telefonava in persona, e all’inizio i banditori delle aste televisive non credevano fosse lui, rilanciando per gioco a cifre impossibili.

     

    REGALI DI NATALE

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    Comprò da Telemarket e da mercanti fuori dal sistema dell’arte, baciati dalla fortuna di avere un cliente come lui. Ad esempio, Giuseppe De Gregorio, titolare della Newarte di Arzano vicino a Napoli, dichiarò a Report di avergli venduto in soli tre anni almeno 5mila tra quadri, sculture, ceramiche, vasi, oggetti di scarso valore, prezzati sulla base di non si sa quale criterio e comunque non quotabili sul mercato ufficiale.

     

    Oltre a quelli che teneva per sé, altri li destinava ai regali di Natale per gli amici, con tanto di dedica personalizzata sul retro della tela, che si vedevano recapitare a casa dei simil Canaletto, un’ammiccante odalisca, una Madonnina. Doni destinati anche ai politici, uno degli ultimi arrivò a Luigi Di Maio; parte della stampa lo interpretò come un modo di ingraziarsi favori, ma questa ennesima lettura maliziosa non trova conferma, Berlusconi era fatto così, amava regalare cose che gli piacevano e abbondava con la consueta magnanimità.

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    Prima di una probabile dismissione o divisione, sarebbe interessante pubblicare una parte di questi “capolavori” che potrebbero tranquillamente illustrare il celebre saggio di Gillo Dorfles, Il Kitsch, una riflessione sul cattivo gusto involontario che finisce per dettare una linea estetica dalle diverse sfumature, interessante dal punto di vista sociologico. La famiglia Berlusconi, peraltro, non ha mai sviluppato la passione per l’arte, ad eccezione di Barbara che verso la fine degli anni zero fu socia della Galleria Cardi di Milano, ma ciò non bastò a convincere papà - che all’epoca aveva altro da fare - a comprare Fontana o investire nell’Arte Povera.

     

    LUCA BEATRICE LUCA BEATRICE

    Questi, però, sono ragionamenti da collezionisti e il Presidente tale aspirazione proprio non l’aveva, né si sarebbe accontentato di essere come tutti gli altri. Comprava e basta, cose lontanissime dal gusto moderno e contemporaneo, il che pare strano per uno che nell’editoria, nel calcio, nella politica, era sempre metri e metri davanti agli altri. Si può dire che di arte non capisse niente? Sì, si può dire, ma non era il solo, anzi si trovava in buona compagnia

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