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    IL PIL NON TIRA - SIA NEL PRIMO CHE NEL SECONDO TRIMESTRE, IL PRODOTTO INTERNO LORDO CALA DI 0,3 E 0,5 PUNTI – NEL 2022 L’ITALIA NON ANDRÀ OLTRE IL +1,9% RESTANDO 2,2 PUNTI SOTTO LE STIME PRECEDENTI - OLTRE AD ERODERE UNA FETTA DELLA CRESCITA ACQUISITA GRAZIE AL BOOM DEL 2021, AVREMO POI UN'INFLAZIONE AL 6,1% (MA POTREBBE ARRIVARE ANCHE AL 10%), INVESTIMENTI E CONSUMI IN FRENATA - IL RITORNO AI LIVELLI PRE-COVID SLITTAAL 2023 – A RISCHIO LE INDUSTRIE ALIMENTARI, LA MECCANICA E LE COSTRUZIONI…


     
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    Paolo Baroni per “la Stampa”

     

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    «Il calo del Pil? Mi auguro di sbagliare, ma parecchie istituzioni hanno già detto che il 2022 sarà un anno molto difficile» avverte Carlo Bonomi lanciando un nuovo monito alla politica. I numeri del Centro studi Confindustria in effetti «spaventano» perché danno l'economia del Paese in recessione sia nel primo che nel secondo trimestre (col Pil in calo rispettivamente di 0,3 e 0,5 punti). Pertanto quest' anno non andremmo oltre il +1,9% restando 2,2 punti sotto le stime precedenti. Oltre ad erodere una fetta della crescita acquisita grazie al boom del 2021, avremo poi un'inflazione al 6,1% (ma per il professor Gianpaolo Galli si potrebbe arrivare anche al 10%), investimenti e consumi in fortissima frenata.

     

    Daniele Franco Daniele Franco

    Il ritorno ai livelli pre-Covid slitta insomma al 2023. La colpa è dei tanti problemi noti da tempo - dall'aumento dei costi dell'energia (con la bolletta delle imprese italiane quest' anno salirà di 68 miliardi) alla carenza (e quindi al rincaro) delle materie prime, al perserverare delle difficoltà di alcune catene di fornitura globali - che la guerra in Ucraina adesso non fa che amplificare.

     

    Il risultato è un nuovo choc, asimmetrico, che colpisce più l'Europa del resto del mondo e che manda in sofferenza soprattutto i settori "energy intensive". Tant' è che già oggi il 16% delle imprese italiane dichiara di aver ridotto la produzione ed un altro 30% che lo farà a breve. A rischiare di più sono le industrie alimentari, la meccanica e le costruzioni.

     

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    «Il Pil che cresce solo l'1,9% rappresenta lo scenario base, legato alla possibilità che da luglio la guerra finisca o comunque inizino a scendere incertezza e tensioni, che le sanzioni restino attive, che venga esclusa ogni ipotesi di razionamento dell'energia e che la diffusione del Covid rimanga contenuta» ha spiegato ieri il responsabile del Csc, Alessandro Fontana. Se invece la guerra continuasse sino a dicembre (quello che il Csc chiama «scenario avverso») nel 2022 il Pil si fermerebbe a +1,6, mentre in un eventuale «scenario severo» (con la guerra che prosegue per tutto il 2023) il prodotto interno crescerebbe solo dell'1,5%, mentre nel 2023 finiremmo definitivamente in recessione.

     

    «Anche nello scenario meno complicato i numeri che sono usciti dal nostro rapporto - ha commentato Bonomi - spaventano e spaventano in maniera davvero forte e danno concretezza ad un allarme crescente, e purtroppo inascoltato, che Confindustria ha iniziato a lanciare già prima della guerra, quando già si vedeva un rallentamento».

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    Come rimediare? «Servono misure strutturali e adeguate» scandisce in conferenza stampa il presidente di Confindustria indicando poi quattro direttrici di azione. La prima riguarda l'industria e le misure nel campo dell'energia. Quelle adottate sinora per Confindustria «non sono sufficienti»: per questo Bonomi chiede un tetto al prezzo del gas («se non lo si fa in Europa deve farlo l'Italia») avviando una attenta ricognizione dei prezzi applicati ai contratti vigenti. Oltre a questo una quota di energia da rinnovabili va dedicata esplicitamente all'industria e poi vanno tagliate le accise sui carburanti.

     

    Quindi bisognerà rivedere il nostro mix energetico, diversificando gli approvvigionamenti e spingendo di più sulle rinnovabili (anche modificando il Pnrr) e poi occorre sospendere il «Fit for 55» (il piano Ue per ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030), «che in questa fase aprirebbe scenari devastanti per le imprese».

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    La terza direttrice riguarda le misure che si possono mettere in campo a livello nazionale per attenuare il fortissimo rallentamento «perché da solo il Pnrr non basta più»: a partire dall'automotive servono incentivi a favore delle ristrutturazioni industriali e politiche attive del lavoro per riqualificare gli occupati, mentre con la delega fiscale «occorre assolutamente prevedere tagli strutturali e significativi al cuneo contributivo». Tutto questo va fatto però senza creare debito aggiuntivo ma con una revisione attenta dei 900 miliardi della nostra spesa pubblica, «che poi - ha precisato Bonomi - è quello che Draghi teorizzava sempre quando stava in Bankitalia».

     

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    La quarta direttrice riguarda lo scenario geopolitico. In questo campo le industrie europea ed italiana si aspettano misure di garanzia condivise tra Occidente, Russia e Cina per rafforzare libertà di investimenti e commerci e poi chiedono di istituire un grande fondo garantito da Usa e Ue per ricostruire l'Ucraina. «Oltre che per la pace - conclude Bonomi - la politica italiana ed europea devono battersi a tutela della nostra forza economica, altrimenti potremmo subire altri contraccolpi durissimi».

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