rudi garcia
Nel calcio il professionismo c’è solo in busta paga, per il resto sono uomini fragili che vanno compresi
Al Napolista le conferenze stampa, ma anche i post-partita, piacerebbero così: una lavagna elettronica bella grande. Con le domande. Il diretto interessato – quasi sempre l’allenatore – ha la facoltà di leggere e decidere se vuole rispondere o no. Ma lo decide prima di andare in video o in conferenza.
Se non vuole rispondere, se ne torna negli spogliatoi. E in studio proseguono, possibilmente in maniera abrasiva. Ma se accetta di rispondere, deve attenersi alla domanda. Punto. Evitiamo di mettere in sovrimpressione il salario netto (annuale e quotidiano) percepito dal diretto interessato. Ma nella nostra comunicazione ideale così dovrebbe funzionare. Col salario sempre in sovrimpressione.
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Basta con queste scene degli allenatori che vengono pregati, blanditi, aiutati ad assumere la loro posizione di comfort. E invece è quel che incredibilmente accade da decenni. Diciamo almeno un ventennio. Ed è così facendo che quando arriva una giornalista – come la collega Rai Tiziana Alla che pose una normalissima domanda a Donnarumma, ricordando la sua papera contro il Real Madrid – scoppia un casino perché il buon Gigio non regge la pressione di chi lo pone pubblicamente di fronte alle proprie responsabilità calcistiche. Poverino.
A Napoli (in realtà Castel Volturno) – terra in cui le conferenze stampa cominciano a non avere più alcun senso – l’allenatore Garcia ha avuto da ridire alla domanda sui sette punti di distacco dall’Inter. Domanda che lui, impappinandosi con la lingua, ha persino definito offensiva. Poi si è parzialmente corretto, commutando l’offensivo in negativo. Pochi secondi prima aveva detto che il collega (nel caso, Antonio Giordano del Corriere dello Sport) poneva sempre domande cattive. Cattive.
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Al di là della giustificata scarsa padronanza della lingua italiana, alla base c’è un tema che a nostro avviso non è più eludibile. Se vuoi fare il professionista e quindi fai parte di un circuito professionistico, con una busta paga importante, beh accetti che del sistema fa parte il confronto con i giornalisti. E rispondi alle domande. Vale per Garcia. Per Allegri. Per Mourinho. Per Pinco Pallo. Francamente non se ne può più di questa arroganza. Con i giornalisti spesso lì a rinculare, tante volte per educazione, altre volte per non restare isolati o vittime di shit storm (tempeste di merda) sui social. O perché l’editore non vuole rompere.
Rudi Garcia
Il calcio continua a perpetuare questa forma di ipocrisia. Sono professionisti solo quando ritirano lo stipendio e/o firmano i contratti. Per il resto sono giovani fragili (ludopatici, ora si porta assai ludopatici) o uomini che non sopportano le pressioni, quando c’è da rispondere a qualche domanda. Quando c’è da offrire la propria versione a risultati che non arrivano o a una gara giocata male. O ad altro. È un atteggiamento ormai oltre l’insopportabile. E la responsabilità principale è del giornalismo che si è ammorbidito ogni giorno di più fin quasi a scomparire. Almeno in Italia. Negli Stati Uniti il Garcia di turno sarebbe fatto letteralmente a pezzi dall’opinione pubblica.
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Le domande sono cattive. Devono essere cattive. Cattivissime. Magari lo fossero. Forse sarebbe il caso di intendersi sulle regole di ingaggio. Se non si accettano le domande, possono essere cancellate le conferenze stampa. È un rito bolso, certamente lo è a Napoli. Ormai ci sono i social. L’allenatore rilascia due tre dichiarazioni di rito per i tifosi (che sono ghiotti di frasi ipocrite e prive di significato, i tifosi di calcio sono come i cittadini favorevoli alle dittature) e amen.
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