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    SIAMO DIVENTATI PIU’ LONGEVI: I 50ENNI HANNO AVUTO IN REGALO ALTRI 20 O 30 ANNI, MA CHE FARNE? IL FILOSOFO RISPONDE – “DOBBIAMO RIMANERE NELLA DINAMICA DEL DESIDERIO. SI PUO’ CAMBIARE E TENTARE DI ALLONTANARSI DA SÉ STESSI PER TROVARE STIMOLI. L'ETERNITÀ È BREVE, DURA POCHI ANNI E, PER QUESTO, DOBBIAMO GODERCELI IL PIÙ POSSIBILE”. DICEVA OSCAR WILDE: LA TRAGEDIA NON È CHE UNO SIA VECCHIO, BENSÌ CHE UNO RIMANGA GIOVANE… - IL LIBRO


     
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    bruckner bruckner

    Eleonora Barbieri per il Giornale

     

    Pascal Bruckner, parigino, filosofo e scrittore, grande amico di Alain Finkielkraut, è polemista per indole e per professione, come si può constatare leggendo La tirannia della penitenza, Il singhiozzo dell'uomo bianco o Il fanatismo dell'Apocalisse; negli ultimi anni si è dedicato anche a quella che si può chiamare «filosofia della vita quotidiana», occupandosi della coppia (Il matrimonio d'amore ha fallito?) e, ora, di un problema concreto per molti, i «senior», i nuovi cinquantenni, alle prese con una vita più lunga ma, non necessariamente, felice.

     

    Statistiche, spunti dalla letteratura e dal cinema, riflessioni filosofiche sono ciò che Bruckner offre nel suo saggio Una breve eternità. Filosofia della longevità (Guanda, pagg. 246, euro 20), per orientarsi lungo questo cammino, la cui durata è nelle mani del destino, ma la cui piacevolezza è, in buona parte, anche nelle nostre...

     

    Perché ci serve una «filosofia della longevità»?

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    «La longevità sembra un dono che abbiamo ricevuto, senza però conoscerlo e, quindi, ci ritroviamo ad avere guadagnato venti o trenta o più anni di vita, ma molti non sanno che fare, con questi anni aggiuntivi. Per questo ci serve».

     

    La longevità è davvero un dono?

    «Sa, in tedesco dono significa anche veleno, i due vanno insieme. Certamente è meglio vivere più a lungo ma, allo stesso tempo, si tratta di un dono avvelenato, poiché, man mano che invecchiamo, rischiamo sempre di più di ammalarci, e questo è un grosso inconveniente: la scienza e la tecnologia hanno esteso non la giovinezza, bensì la vecchiaia, perciò noi viviamo più a lungo, ma con le malattie della vecchiaia, come il Parkinson, l'Alzheimer, la demenza senile».

     

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    Supponiamo di essere sani. Resta il problema che molti non sanno che cosa fare, di questi anni «regalati».

    «Ecco il punto. Questo succede perché, dopo la Seconda guerra mondiale, abbiamo inventato la pensione, e così persone di 50, 60 o 65 anni, ancora perfettamente in salute, sono costrette a lasciare il lavoro, rimanendo abbandonate a casa propria, marito e moglie da soli, con i figli ormai cresciuti, che non sanno che cosa fare: e allora si dedicano al consumismo, all'intrattenimento, ai viaggi, anziché mantenersi impegnati in una attività forte».

     

    Bisogna tornare a lavorare?

    «Sì, sarebbe una soluzione, per coloro che lo desiderano; se uno si sente ancora capace e in forma, perché deve essere costretto a lasciare? Altrimenti invecchiare diventa una punizione doppia: il corpo si indebolisce e si hanno anche meno soldi».

     

    È meglio una vita lunga ma infelice, o una breve ma felice?

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    «Ho scritto il mio libro proprio per evitare questa domanda. La mia risposta è: una vita lunga e intensa. Tutti cerchiamo di combinare entrambe le cose, di preservare la nostra salute senza privarci della parte buona della vita, il cibo, l'amore, il piacere...».

     

    Uno potrebbe chiedersi: perché vivere altri 30 anni?

    «Questo se c'è amarezza. Non siamo obbligati, c'è chi si sveglia triste già al mattino, ma questo non è un problema dell'età, anche a vent'anni si può essere depressi e non trovare alcuna attrattiva nella vita. Ogni giorno è una lotta fra l'amarezza e il gusto della vita, a venti come a settant'anni. Finché viviamo, continuiamo a imparare, dice Seneca».

     

    Scrive che dobbiamo rimanere «nella dinamica del desiderio».

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    «Alcuni considerano l'invecchiare come sinonimo di saggezza e rassegnazione, rinunciano a qualsiasi cosa piacevole e si dedicano solo alla meditazione, allo studio, alle massime definitive e a pregare gentilmente per la propria dipartita; io, che ho 71 anni, no: sono ancora attratto da tante cose, sono saggio, ma rimango nella dinamica del desiderio, della fame, della brama. Mi sembra una via più interessante dell'atarassia».

     

    Che cos'è la post-maturità?

    «È il momento in cui le sfide si presentano in modo netto, l'ora in cui le domande di Kant - cosa posso sperare?, cosa posso conoscere?, cosa posso credere? - non possono essere evitate e bisogna dare risposte, non risposte accademiche però, bisogna metterle in pratica nella propria esistenza».

     

    Dice niente.

    «A una certa età c'è un punto di svolta fra una maturità trasfigurata e una post-adolescenza e, per molti cinquantenni, la risposta è una tensione fra le due. Dice Oscar Wilde che la tragedia non è che uno sia vecchio, bensì che uno rimanga giovane. Il corpo appare vecchio, c'è una voce che ti sussurra che non tutto è possibile, però ti senti giovane, e allora devi negoziare, la vita è una negoziazione continua».

     

    Come si negozia?

    «Puoi avere il gusto della lettura, della scienza, della contemplazione, della meditazione ma, allo stesso tempo, essere ancora attaccato al piacere, in tutte le sue forme e, perfino, attratto da nuove esperienze. Per esempio a me piace arrampicare in montagna: perché devo rinunciare? Io non voglio rassegnarmi, perché non posso godere di ciò che mi piace, se posso?»

     

    È giusto così?

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    «Non so se sia giusto, è la mia strategia. Quando avevo 50 anni pensavo che a sessanta sarei stato grasso e con un piede nella tomba, invece ne ho dieci di più e mi sento in forma, perché faccio esercizio, vado a correre, mantengo una certa qualità della vita che, per me, è indispensabile».

     

    È questa l'«estate indiana» di cui parla?

    «Sì, un'ultima impennata della stagione calda, perfino a novembre».

     

    Davvero possiamo essere più persone, avere più vite?

    «Sa, è una speranza, un desiderio, ma molti nemmeno ne hanno una... Se però hai una vita abbastanza ricca da produrre più sentieri, allora l'esistenza diventa più eccitante».

     

    A un certo punto ribalta l'imperativo e suggerisce: «Non essere te stesso».

    «A 35-40 anni uno può sapere chi sia ma, secondo me, cercare di cambiare il proprio destino è molto più interessante, tentare di allontanarsi da sé stessi».

     

    Invecchiare porta con sé i rimorsi?

    «Dipende, puoi avere rimpianti o rimorsi, e io preferisco i rimorsi... Tutti ne abbiamo ma, anziché concentrarci su quelli, dovremmo avere progetti, altrimenti anneghiamo nell'amarezza e nella disperazione».

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    Quali sono le armi per affrontare la longevità?

    «La scienza ovviamente, e tutte le tecnologie per evitare la degenerazione cellulare e rimanere attivi, e questo è l'obiettivo del transumanesimo; poi un cambio di mentalità: nel 2050 nel mondo gli anziani saranno più del doppio dei bambini, quindi saranno un potere di maggioranza, per la prima volta nella storia. C'è una terza arma».

     

    Quale?

    «Una più filosofica e psicologica, per la quale sei responsabile del tuo invecchiamento e devi usarlo correttamente, un po' come quando guidi un'automobile e, quindi, devi rimanere in forma più che puoi, prenderti cura di te».

     

    Che cos'è la «breve eternità»?

    «Beh, è la vita. Se credi in Dio puoi sperare che, oltre, ci sia una vita in Paradiso con un meraviglioso nuovo inizio ma, se sei agnostico come me, allora l'inferno, il purgatorio e il paradiso sono già qui, in questa vita: e allora l'eternità è breve, non dura per sempre, anzi, dura pochi anni e, per questo, dobbiamo goderceli il più possibile».

     

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