Giacomo Susca per "il Giornale"
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Il meccanismo social che distorce azioni e reazioni ci sta abituando a cortocircuiti che rispondono a logiche bizzarre, anche quando la logica sembra aver abbandonato il dibattito pubblico. Prendete la vicenda del ddl Zan, naufragato in Aula sotto i colpi dei franchi tiratori Pd, Iv e M5s.
In tanti tra gli strenui difensori del provvedimento stanno rivolgendo ogni tipo di accusa nei confronti dei senatori che hanno messo una pietra tombale su un testo così divisivo. Fuori dal Palazzo, la questione ha scatenato l'indignazione di molti volti noti dello spettacolo, che definiscono il voto del Senato «indegno di un Paese civile».
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Se il criterio di giudizio fosse uniforme, dovrebbero scandalizzare le esternazioni di chi, deluso per la battaglia persa, paragona l'Italia ai regimi totalitari in fatto di tutela delle minoranze. Insomma, se è giustamente bollata come un'idiozia vaneggiare di «dittatura sanitaria» nelle piazze dei No green pass, nulla da obiettare invece quando si assimila il nostro Paese a un regime talebano che perseguita la comunità Lgbtq. Se c'è un merito nella discussione sulla legge contro l'omotransfobia è di aver spostato l'attenzione sul peso delle parole.
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Perciò fa riflettere che la principale paladina social della causa arcobaleno, Chiara Ferragni, abbia postato uno sfogo, questo sì, davvero «colorito». Dall'alto dei suoi milioni di seguaci, l'influencer si è scagliata contro la classe politica: «Siamo governati da pagliacci senza palle».
Tralasciando il fatto che governo e Parlamento sono due cose diverse, non bisogna essere esperti di diritto costituzionale per riconoscere che «senza palle» altro non è che un insulto sessista. Proprio come quelli che il ddl Zan avrebbe voluto punire severamente. E non si tratta di sfumature lessicali, visto che l'odio e il pregiudizio viaggiano sul crinale del linguaggio adoperato. Un team di linguisti provenienti da 12 Paesi non ha avuto dubbi nel decretare che l'espressione «senza palle» corrisponde a una «cultura fortemente maschilista».
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La stessa Michela Murgia, grande sponsor della legge appena affossata, inserisce la locuzione «avere/non avere le palle» nel decalogo delle frasi discriminatorie «che non vogliamo sentire più». Se non basta, ecco la Cassazione con una sentenza del 2012 a stabilire che «l'espressione ha una evidente e obiettiva valenza ingiuriosa, atteso che con essa si vuole insinuare non solo e non tanto la mancanza di virilità del destinatario, ma la sua debolezza di carattere, la mancanza di determinazione, di competenza e di coerenza, virtù che, a torto o a ragione, continuano ad essere individuate come connotative del genere maschile». A proposito di cortocircuiti gender, di caccia alle streghe e presunti golpe liberticidi.
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