Barbara Majnoni per "it.businessinsider.com"
Il 22 giugno si è celebrata la giornata mondiale del cane in ufficio.
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Secondo il rapporto stilato da Assalco-Zoomark, nel 2018 le imprese in Italia che hanno aperto le porte agli amici a quattro zampe sono arrivate ad essere 7 milioni. I ricercatori della Virginia Commonwealth University dicono che diano parecchi benefici. Uno studio condotto dal Banfield Pet Hospital denominato PAWrometer Pet-Freindly Workplace conferma la stessa tesi. Anche la master coach Marina Osnaghi sostiene che la sola presenza di un cane stimoli legami profondi e sinceri, liberi da maschere, permettendo di vivere momenti di serenità e gioia.
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Per approfondire l’argomento abbiamo intervistato l’etologo Roberto Marchesini, che ha da poco pubblicato Cane e Gatto, due stili a confronto per Apeiron Edizioni.
Professore, cosa dice al riguardo?
Vorrei fare un preambolo. A me piacerebbe che ci fosse una riconsiderazione globale della figura del cane nella storia dell’uomo più da un punto di vista antropologico che non zootecnico. Perché fino ad adesso è sempre stato visto come un qualcosa da usare e addomesticare.
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Mentre in realtà l’uomo sorge con il cane, 40 mila anni fa. E il cane col tempo ha modificato l’identità dell’uomo, cambiando la sua ecologia, il suo impatto sul territorio, il suo modo di essere. E’ stato proprio l’ausilio, la presenza, il partner che gli ha permesso di esplandersi su tutto il pianeta. Personalmente l’incontro col cane lo metto esattamente come la scoperta e l’utilizzo del fuoco e della pietra. Il valore di questa relazione è immenso.
Che tipo di rapporto si può instaurare col cane mentre siamo in ufficio?
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Diciamo che si sta verificando un cambiamento. Fino all’inizio del secolo scorso il cane era considerato un animale privato, da confinare nell’intimo della propria abitazione, era l’animale da compagnia, d’affezione, veniva definito pet. Oggi il concetto di pet è totalmente superato. Il cane ci accompagna nella vita di tutti i giorni. Lo si porta sui mezzi pubblici, in vacanza, in spiaggia, ovunque.
C’è una dimensione sociale della relazione che prima non c’era. Prima si diceva: ‘Ho un cane’. Oggi si dice: ‘Vivo con un cane’. Ed è molto diverso. Quindi è normale che le persone vogliano andare anche al lavoro col proprio Fido. Oggi siamo diventati tutti punkabbestia, cioè amiamo vivere col nostro cane in una maniera pubblica. Pensare che negli anni 90 li guardavamo tutti un po’ così, con sorpresa. Questa è la grande trasformazione.
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Perché un datore di lavoro dovrebbe consentire la sua presenza?
E’ nel suo interesse, perché si è scoperto che una persona contenta lavora meglio. Il punkabbestia il cane non lo vuole lasciare a casa, altrimenti si stizzisce. Inoltre bisognerebbe evitare di considerare il lavoro, lo studio, solo esclusivamente come degli obblighi, dei compiti, delle deontologie, perché così non rendiamo.
Viceversa quando si opera con coinvolgimento tutto migliora. Però è chiaro che la partecipazione di un cane all’interno di dimensioni pubbliche richiede da parte del proprietario una maggiore attenzione educativa.
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Quali dinamiche si possono creare i cani all’interno di un ufficio?
La prima è quella che dicevamo del coinvolgimento della persona, cioè che è più con la testa lì sul lavoro e non a casa o altrove. Secondariamente la sua presenza ci infonde una maggiore sicurezza affettiva. Poi come terzo punto, il più importante per me, è che il cane crea collante sociale.
Ovvero abbassa le tensioni tra le persone, se naturalmente si vive questa relazione in maniera sociale e non individualistica. Per farlo al meglio bisogna lasciarsi portare dal cane, un grande maestro di condivisione, in questa dimensione. D’altronde ci ha già aiutato in passato.
Quindi vuol dire che può mitigare gli animi di capo e colleghi?
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Questo non succede per magia. Ma se siamo abituati a vivere bene la nostra relazione col cane in una dimensione pubblica è facile che succeda, perché oltretutto aumenta il piacere di stare insieme.
L’abbiamo già studiato in pet therapy. Ci sono pubblicazioni almeno di 20 anni che lo dimostrano. Però ci devono essere dei prerequisiti. Ovvero non ci deve essere un rapporto morboso o altri individui a cui il cane da fastidio. Perché il punto della questione passa sempre attraverso il rispetto dell’altro.
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Ci sono razze più adatte a stare in ufficio?
Non ci sono razze problematiche. Più che altro ci sono persone che prendono cani di una certa razza, senza sapere minimamente quali sono le tendenze, le propensioni e i bisogni di quella razza. Perché se prendo un molossoide, un cane con forte tendenza alla territorialità e lo porto in ufficio, lì non entra più nessuno. Se porto invece un maremmano abruzzese, il guardiano delle greggi, da quell’ambiente non farà invece più uscire nessuno.
Questi cani, ad esempio, devono avere una corretta educazione altrimenti possono sorgere dei problemi. Dopo di che c’è il retriever, che è un pacioccone e sta bene un po’ con tutti, perché non è mai sazio di affettività. Però ha una certa stazza. In più è la versione canina di Pegga Pig, ama l’acqua, il fango, non ci si può aspettare che stia lì come un figurino.
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Poi ci sono cani più posati come il barboncino o altri di piccola taglia, oddio jack russell escluso, perché con una cinetica molto forte, per cui prende molto più spazio di un terranova.
Invece quali sono i più idonei se si lavora da soli in studio?
Il migliore amico di un artista o di uno studioso è il gatto o il cane meticcio. Il gatto perché c’è senza essere invadente, quindi lascia spazio alla riflessione e all’estro. Il meticcio, invece, perché non ha propensioni molto forti come può essere uno di razza, in più ha molta creatività.
Cosa consiglia sul tema?
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Prima di intraprendere una qualunque esperienza di far conoscere l’ambiente. Bisogna agire per gradi. Iniziate a farlo venire in ufficio solo per vederlo. Poi per qualche ora e così via.
Ma portate sempre anche la sua copertina, che diventa il suo luogo di rifugio, qualche orsetto in modo che possa stare tranquillo, senza richiedere la vostra vitale attenzione. E, fondamentale, l’acqua, da cambiare spesso per evitare che si formino dei microrganismi. Questo vale ovunque vi facciate accompagnare.