Estratto dell’articolo di Elisabetta Ambrosi per “il Fatto quotidiano”
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Un jet privato inquina. Una bistecca di vitello pure. Ma fare sesso produce emissioni? O, detto altrimenti, qual è l’impronta carbonica della nostra libido e come i nostri desideri accelerano la crisi climatica? Se lo è chiesto, nel libro Ecologia erotica. Sesso, libido e collasso del desiderio (in libreria da oggi con Tlon), Dominic Pettman, professore alla New School di New York.
La risposta immediata è positiva: basti pensare alla pubblicità che ci spinge ad acquistare vibratori e lingerie, al turismo sessuale e a tutto ciò che è connesso alla seduzione, in una lista potenzialmente infinita. […]
Così amore, desideri, passione si esauriscono e si intossicano e, più il clima si surriscalda, più la nostra libido si raffredda, e diventa tossica, pericolosa. Un’immagine chiara di questo modello è, secondo Pettman, l’uomo arancione, ovvero Trump, “sgradevole icona di questa vecchia epoca di avidità famelica”.
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L’uomo arancione si è ubriacato, e noi con lui, di un “cocktail tossico di narcisismo, aggressività, ignoranza armata, privilegio, sadismo e arrapamento adolescenziale fallocentrico”. Contro questa visione, contro questa “economia libidinale”, Pettman rilancia e propone una “ecologia libidinale”, un vero e proprio Green Deal erotico. In cui la Natura – intesa a volte come simbolo della nostra esistenza animale, a volte invece come espressione severa della legge contro perversione e adulteri, oggi invece come immensa risorsa sfruttabile – torni a essere fusa con Eros, come lo era in Lucrezio.
Si tratta insomma di avere un rapporto organico con il nostro ambiente e di diventare un po’ tutti “ecosessuali”, coloro che promuovono il sesso nella natura e con gli elementi della natura: “Abbracciamo gli alberi senza vergogna, godiamo delle cascate, facciamo l’amore con la terra, celebriamo il nostro punto E, siamo polimorfi e poli/polline amorosi”, è il loro Manifesto. […]
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Per ricreare una libido ecologica ci servono pratiche ecologiche anti-individualiste e in questo senso tutto, per così dire, fa libido, “dai legami queer alle comunità intenzionali, dagli esperimenti di poliamore alle associazioni, dalle scuole alle parrocchie agli, incontri informali”. Ma in conclusione, dovremmo desiderare meno o di più? “Entrambe le cose”, perché il punto è superare l’alternativa tra essere asceti frustrati o libertini disincantati, cercando invece di coltivare desideri organici e sostenibili che rendano omaggio alla matrice ambientale che li ha generati.
E questo si fa, ad esempio, “contrastando i piaceri corrotti con bombe di gioia compassionevole, mettendo al bando i bunga bunga, intrufolandoci nell’orgia di Eyes wide shut per sabotarla e improvvisare forme di socialità sensuale meno esclusive e più insolite”. È vero, ammette Pettman, siamo fottuti, avvelenati anche dai gas serra, prodotti persino dalla nostra industria culturale.
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Ma un’ecologia libidinale si “rifiuta di utilizzare questo stato di abiezione condiviso per la rassegnazione e la sconfitta”, si rifiuta di pensare “solo a un imminente pianeta morto, abbandonato, radioattivo, senza sogni”. E punta invece a reimparare a fare l’amore, a un sesso “slow” che ci faccia ritornare letteralmente selvatici. Riducendo, ma piacevolmente le emissioni e sconfiggendo l’ecoansia. “La libido è morta, lunga vita