Bettini e Zingaretti
Stefano Cappellini per “la Repubblica”
«C'ho provato fino all' ultimo. Ma sono stufo di questo processo permanente e quotidiano. Perché sulla graticola non sarei rimasto io, ci sarebbe rimasto il Pd». È questa la frase che Nicola Zingaretti ha consegnato alle poche persone che hanno saputo in anticipo la sua decisione di dimettersi da segretario del Partito democratico. Decisione sofferta ma non improvvisa e non improvvisata. Ci aveva pensato anche dopo la caduta di Conte. Ma non poteva lasciare con il Paese senza governo e il Pd allo sbando. Ora un governo c' è. È rimasto lo sbando del Pd.
NICOLA ZINGARETTI
Zingaretti non ha avvisato neanche il presidente del Consiglio Mario Draghi, che lo ha appreso - restandone stupito, raccontano a Palazzo Chigi - dalle agenzie. La scelta finale è stata presa due giorni fa, all' indomani dell'ultima direzione dem. Zingaretti aveva proposto un congresso rifondativo su temi e identità del Pd, senza la conta delle primarie, cioè l'ennesima guerra per bande combattuta dietro la retorica facciata del bagno di folla ai gazebo, l' illusoria primavera di ogni segretario del Pd. Si aspettava che i suoi avversari interni accettassero la sfida di un congresso diverso, «anche perché io - ha spiegato agli amici - fin qui le elezioni le ho vinte tutte, regionali e comunali, e avrei vinto pure le primarie. Ma a cosa sarebbe servito? Due giorni dopo sarebbe ripreso tutto come prima».
alessia morani con la mascherina 1
Le reazioni delle correnti alla sua offerta, molti hanno invocato le primarie entro il 2021, altri hanno addirittura contestato la legittimità di tenerle solo nel 2023, lo hanno convinto a mollare. Un'alternativa alla conta s'era aperta: l'accordone delle correnti, con una spartizione delle cariche tra le fazioni e una tregua almeno fino alle elezioni amministrative di autunno, forse fino alle politiche. C'era pure già il nome della vicesegretaria in quota ex renziana per blindare il patto: Alessia Morani.
goffredo bettini 11
Ma per Zingaretti avrebbe signficato mettere la firma sulla sua resa definitiva al potere delle correnti e al Pd come pura architettura di nomenclature. Avrebbe continuato a fare il segretario di minoranza, come già gli era capitato nel momento cruciale della legislatura, quando caduto il governo Conte uno si era trovato a essere praticamente l'unico dirigente deciso ad andare al voto mentre i gruppi parlamentari plasmati da Matteo Renzi spingevano per l' intesa con i grillini e intorno era tutta una corsa a salire sul carro del governo giallorosso: aspiranti ministri, aspiranti sottosegretari, aspiranti titolari di una carica.
BARBARA DURSO E NICOLA ZINGARETTI
«C'è chi ha ancora la faccia tosta di dire che Conte l' ho voluto io. Sono gli stessi che consideravano Conte un disastro e poi, appena è diventato leader del M5S, lo hanno dipinto come l'uomo che avrebbe rubato tutti i voti al Pd».
Il sondaggio "virtuale" di Swg che dava il Movimento guidato dall' ex premier oltre il 20 per cento e il Pd al 14 è stata l' occasione per un' altra bordata di critiche interne, a lui e a Goffredo Bettini, nel Pd il più mal sopportato dei suoi consiglieri, accusato di aver impiccato il partito alla linea «o Conte o voto». Ma il Pd, sostiene Zingaretti, al 14 per cento non ci finirebbe per causa sua («Perché nessuno ricorda che alle regionali il Pd è risultato di gran lunga il primo partito italiano?»), e nemmeno per colpa di Conte, ci finirebbe per le guerra civile, perché mentre tutti si riorganizzano, Salvini torna protagonista, Forza Italia si accuccia di nuovo nel vecchio centrodestra, Meloni lucra all'opposizione la sua fetta di consenso, la sinistra si rifugia nella sua vocazione: «Da noi si pratica troppo il fratricidio».
sandro gozi goffredo bettini andrea orlando
Questo, più di tutti, è l'ovosodo che a Zingaretti è rimasto sul gozzo: le accuse sulla linea «suicida» di subalternità al M5S, l'asservimento a Conte, il fuoco di fila delle interviste per contestare la direzione di marcia sulle alleanze, le più sgradite quelle di Dario Nardella e Giorgio Gori. Ma è qui che Zingaretti conta di prendersi la rivincita più rapida. Lo ha spiegato anche a Conte, uno dei pochi informati della sua decisione: «Vedrai che la linea dell'accordo con il M5S non cambierà».
PINOTTI
Il perché l'ex segretario lo ha spiegato a un deputato dem agitandogli il cellulare davanti: «Qui ci sono i messaggi di tutti i sindaci che mi hanno implorato di aiutarli a chiudere l' accordo con il M5S nella loro città». Sottinteso: a livello nazionale, quando si tratterà di sfidare un centrodestra che avanza come una «falange armata », e per giunta con una legge elettorale maggioritaria, non ci sarà altra strada che un' intesa con Conte e il Movimento.
Quando nel pomeriggio, con un certa lentezza, cominciano ad arrivare le prime dichiarazioni di dirigenti dem che gli chiedono di ripensarci, Zingaretti spiega che non tornerà indietro: «Se qualcuno pensa sia un bluff, ha capito male. Lo considero un atto d'amore per il partito. E un passaggio necessario per un chiarimento vero».
zingaretti
Sbaglia, giura Zingaretti, chi pensa che stia aspettando solo una prova d' amore, un coro di preghiere per tornare indietro. Non sa ancora nemmeno se andrà all' Assemblea nazionale del 13 e 14 marzo che dovrà decidere che fare. L'ipotesi più probabile è tocchi a un reggente, come fu per Guglielmo Epifani dopo il dimissionario Pier Luigi Bersani e per Maurizio Martina dopo il dimissionario Matteo Renzi. Del resto, fin qui per chi fa il segretario Pd è finita sempre allo stesso modo: dimissioni e veleni e recriminazioni.
ministro pinotti
C' è già un' ipotesi forte: Roberta Pinotti, ex ministra della Difesa in era renziana, ex Democratica di sinistra, oggi area Franceschini, donna: nello Shangai delle correnti dem, quel gioco in cui si può passare in un attimo dall' incastro perfetto al crollo totale, è un punto di equilibrio ideale.
E se Zingaretti tornasse in campo al congresso? Se le dimissioni fossero solo il modo di preparare meglio la sfida congressuale con lo sfidante in pectore Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia Romagna? «Non esiste», taglia corto Zingaretti. Il che non significa che si ritirerà dalla politica, anzi: «Continuerò, da uomo libero».