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    SO’ KAZAKI AMARI – SCOPPIA LA RIVOLTA IN KAZAKISTAN, IL "SULTANO" NAZARABAYEV CHIEDE L'AIUTO DI PUTIN - I CORTEI CONTRO I RINCARI DEL GAS PROVOCANO LA REAZIONE DEL REGIME. MOLTE VITTIME NEGLI SCONTRI, CENTINAIA DI FERITI, MIGLIAIA D'ARRESTI, SACCHEGGI NELLE VILLE DEGLI OLIGARCHI. TROPPI INTERESSI GIOSTRANO INTORNO A QUESTO GIGANTE CENTRASIATICO CHE SIEDE SU ENORMI GIACIMENTI D'URANIO, HA COLTIVAZIONI PIÙ ESTESE DELLA RUSSIA E DELL'UCRAINA E FLIRTA SIA CON PUTIN CHE CON ERDOGAN...


     
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    FRANCESCO BATTISTINI per il Corriere della Sera

     

    kazakistan kazakistan

    «Oyan Qazaqstan!», svegliati Kazakistan. Nella capitale più fredda del mondo, dove le acque dell'Iim ghiacciano da ottobre a maggio, in uno dei più congelati regimi post-sovietici, dove da trent' anni comandano ancora i vecchi leader comunisti, ad Almaty e ad Astana bruciano nella notte i blindati della polizia e i palazzi del potere.

     

    Oyan Qazaqstan: stavolta il Kazakistan s' è svegliato davvero. E il gran fuoco della rivolta, il primo dall'indipendenza del 1991, acceso il 2 gennaio nelle lontane città petrolifere del Mangystau, impiega poco a incendiare tutto. Ci sono morti, non si sa quanti. Centinaia di feriti, migliaia d'arresti, saccheggi nelle ville degli oligarchi, fiamme nei municipi e alla residenza presidenziale.

     

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    «Non me ne vado!», ripete sulla tv Jabar 24 il presidente-travicello Kassim-Jomart Tokayev, 68 anni, un passato da ambasciatore dell'Urss, uno che parla in russo a un popolo al 70% turcofono e musulmano. Annuncia due settimane di stato d'emergenza, l'epurazione del premier e ovviamente le riforme: «La risposta sarà dura - promette, lasciando prevedere una repressione di tipo bielorusso -. Questa situazione è tutta colpa di potenze straniere che sobillano!».

     

    La causa della rabbia è soprattutto lui: a capodanno ha liberalizzato i prezzi alle pompe di gpl e permesso che raddoppiassero ovunque. In un Paese grande nove volte l'Italia e dove tutto viaggia su gomma. In un'economia che è fra le prime dieci esportatrici mondiali di greggio e, da sempre, calmiera i carburanti. Tokayev ha fatto subito retromarcia, riabbassando le tariffe, ma s' è capito presto che nella rivolta del gas c'è ben altro che arde.

     

    KAZAKISTAN KAZAKISTAN

    «Cacciate il vecchio!», grida la piazza. Perché l'obbiettivo della rabbia popolare non sono solo i pozzi d'oro nero, ma il pozzo nero del potere più profondo: il vecchio Nursultan Nazarbayev, 81 anni, l'«elbasy», il Caro Leader della Nazione, il più longevo dei vecchi arnesi sovietici, l'ex segretario comunista che per 29 anni ha fatto da padrone assoluto del Kazakistan ed è ancora lì, dopo avere messo al potere il suo tirapiedi Tokayev. Hanno già postato le immagini d'una statua di Nazarbayev tirata giù a Taldykorgan, funi e applausi stile Saddam, fra gente che canta l'inno nazionale. L'eterno Nursultan è stato dimissionato dal Consiglio di Sicurezza Nazionale. Girano voci d'un tentato assalto alla casa di Dariga Nazarbayeva, la potente figlia, che papà ha nominato presidente d'un Senato da lui interamente controllato. Ma il regime ha disattivato internet e telefonini ed

     

     

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    è già tanto se qualche notizia rompe la barriera del silenzio, nel regno di Nazarbayev: perfino Astana, la sfavillante capitale dei grattacieli di Norman Foster, qualche anno fa è stata ribattezzata Nursultan in cieca obbedienza al Caro Leader. Lo scossone non era previsto: fra tutti gli «stan» dell'Asia Centrale, ugualmente governati con pugno di ferro da reduci dei soviet, il Kazakistan è quello dove meglio convivono le etnie ed è stata garantita una strabiliante crescita economica. La crisi 2014 del petrolio e il calo del 90% delle esportazioni verso la Cina, causa Covid, per la prima volta in vent' anni hanno portato il Paese in recessione.

    statua di nursultan nazarbayev statua di nursultan nazarbayev

     

    Quella kazaka, osservano fonti diplomatiche, è anche la prima crisi provocata dai bitcoin: solo nel 2021, quasi 90 mila società di criptovalute si sono spostate qui dalla Cina, allettate dal basso costo dell'energia. Ma così facendo, spiegano, s' è spinto alle stelle il costo della mostruosa quantità d'elettricità necessaria agli algoritmi per «proteggere» i bitcoin. Troppi interessi giostrano intorno a questo gigante centrasiatico. Che è il nono Paese più grande del mondo, siede su enormi giacimenti d'uranio, ha coltivazioni più estese della Russia e dell'Ucraina, flirta sia con Putin che con Erdogan. «Non ammetteremo interferenze», fa sapere il Cremlino: Tokayev ha chiesto l'intervento militare russo. La sveglia è suonata, qualcuno è pronto a spegnerla.

     

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