1 - COSÌ HO TROVATO IL MIO CENTRO DI GRAVITÀ PERMANENTE
Federico Rampini per “Salute - la Repubblica”
FEDERICO RAMPINI
Cominciai a praticare yoga che avevo 15 anni, a Bruxelles. Cioè esattamente tre anni dopo il mitico viaggio dei Beatles in India (1968), che ci aveva contagiati tutti col "mal d'Oriente". Un Oriente molto immaginario, ma seducente. Da adulto, nel periodo in cui vivevo in Asia riuscii a farci stare anche un ritiro in un ashram nel Tamil Nadu, di cui conservo aneddoti esilaranti, compresa la mia "evasione" per intolleranza verso gli eccessi di disciplina (devo confessare di non aver fatto il servizio militare). Vivendo in Cina tentai inutilmente di alternarlo col tai chi, ma ormai lo yoga mi era entrato "nella memoria delle giunture".
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Negli ultimi dieci anni, da quando ho piantato la tenda a New York, la mia pratica si è intensificata. Viaggi di lavoro permettendo, riesco a seguire corsi da 60 o 90 minuti - sempre di gruppo - anche quattro o cinque volte alla settimana. Sono eclettico in quanto a tecniche, passo da Vinyasa a Iyengar, da Hata a Kundalini. Quel che conta di più, per me, è la qualità dei maestri: ne ho selezionati una mezza dozzina, donne e uomini di varie età, che mi mettono a mio agio. Mi affeziono anche ai compagni e compagne di corso, diventano parte della routine.
Lo yoga mi ha fornito, in modo crescente col passare degli anni, un «centro di gravità permanente» per citare Franco Battiato. È la mia guida, la mia protezione e la mia cura contro gli stress multipli legati al mio nomadismo globale: ansie tensioni e logorii che vanno dal puro e semplice jetlag ( nossignori, non ci si abitua affatto), alle diete tossiche da hotel+aereo, ai problemi più seri come la distanza cronica dai propri affetti.
FEDERICO RAMPINI
Finora sembra aver funzionato anche - ma lo scrivo con tutti gli scongiuri scaramantici del caso - come una polizza assicurativa contro i danni dell' altra mia disciplina favorita, la maratona. Correre fa male a tante parti del nostro corpo, e credo che lo yoga mi funga da iper-stretching, per attutire i colpi. Non mi riconosco, però, nell'identikit del praticante integrale. Ammetto di non essere vegetariano, non al 100% (troppo disordinata la mia vita per qualsiasi dieta). Né pratico con serietà la meditazione.
Dello yoga ho abbracciato da sempre la fisicità, con entusiasmo e devozione. In quanto alla spiritualità orientale, dall' induismo al buddismo: ho un vivo interesse culturale, che mantengo separato dai miei esercizi. In un certo senso però la lunga consuetudine con lo yoga coincide con un atteggiamento "zen" - uso la parola in senso spurio, estratta dal contesto storico. Mi aiuta a ridimensionare tutto, a osservare la mia vita con distacco, come dall' esterno. Quando mi inginocchio sul tappetino e inizio la posizione del cane o il saluto al sole, mi dico che tutto il resto può aspettare.
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2 - YOGA, RITORNO ALLA NATURA
Cinzia Lucchelli per “Salute - la Repubblica”
Si svuotano le sale, si popolano al sorgere del sole le spiagge. In estate lo yoga cambia panorama per immergersi nella natura: i tappetini si srotolano dalle Dolomiti alle coste della Puglia, in parchi e darsene cittadine, in campagne toscane e su isole della laguna veneziana. Un fenomeno raccontato bene da Instagram dove scorrono innumerevoli foto di posizioni (asana) eseguite all' aperto: quella del cane a testa in giù davanti al mare, del triangolo tra le palme, del ponte su prati fioriti.
Questa pratica, millenaria anche se pare non avere età, sta conquistando sempre più appassionati tanto che si stima siano tra i 200 e i 300 milioni in tutto il mondo. Donne più che uomini e sempre più bambini e ragazzi. In Italia ha convinto 2 milioni e mezzo di persone, divise tra diversi stili, più o meno dinamici, e 2mila scuole. Un vero e proprio esercito che con la bella stagione in parte si riversa all' aperto per dedicarsi a pratiche mirate come lo yoga trekking, più spesso per replicare le sequenze in uno scenario mutato.
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Se in inverno entrano nelle aziende e persino in Borsa, come è accaduto a Milano qualche mese fa, con lezioni dedicate ai dipendenti, d' estate riescono a raggiungere atolli sperduti nell' Oceano per meditare e praticare. Un successo sorretto da un' unica, potente motivazione: lavorare sul benessere psico- fisico, cercare di stare bene.
In Italia molti centri organizzano eventi per chi voglia concentrarsi su asana e pranayama (la regolazione del respiro) direttamente sotto il cielo. In alcuni casi sono abbinati a una vacanza, che diventa occasione per prendersi cura di sé a tutto tondo. «Fare pratica nella natura è la massima esperienza di integrazione tra l' individuo e quello che lo circonda». Ne è convinto Max Grossi, maestro yoga che si muove tra Roma e Los Angeles. Quasi venti anni fa ha importato in Italia il power yoga, appreso da Mark Blanchard, guru delle star di Hollywood, che a lui ha dato il compito di rappresentarlo in Europa e di formare altri insegnanti.
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Con Marika Moretti ha fondato nella capitale Ego Yoga, scuola che cura da quindici anni seminari da Costa Rei, in Sardegna, a un atollo indonesiano, da Ventotene a Ibiza. Propone due pratiche al giorno, a giorni alterni. «All' alba meno fisica e più respiratoria, per preparare il corpo alla giornata; al tramonto più fisica, per scaricare lo stress accumulato», spiega.
Nel resto della giornata ci si gode la natura. Considera la misura della settimana più benefica di un workshop concentrato in una manciata di giorni perché permette di diluire l'esperienza e di far sedimentare il messaggio che vuole dare. «Non è solo un messaggio spirituale, l' approccio è fisico. È un investimento in salute alla fine, riesce a trasmettere una carica energetica che poi deve essere coltivata durante tutto l' anno».
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Ma come scegliere i luoghi ideali? «Bisogna cercare posti che siano non solo belli ma anche lontani dall' inquinamento acustico e da quello atmosferico e che non abbiano barriere visive: più sono aperti più aiutano a scambiare energia vitale (prana)», dice l' insegnante. Lo scenario migliore rimane il mare, senza scogliere, lo sguardo che si perde all' orizzonte. Non tutti i maestri di yoga però sono convinti che il contatto con la natura sia un' esperienza coerente con l' antica tradizione. Anche se non la escludono.
Edwin Stern, maestro di ashtanga con base a New York e autore del libro One Simple Thing: A New Look at the Science of Yoga and How It Can Transform Your Life ( North Point Press) non organizza classi all' aperto. « Negli antichi testi si dice che si dovrebbe fare pratica in una stanza piccola, senza troppe finestre e dal pavimento uniforme » .
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Tuttavia, continua, «è bello a volte sentire il vento o il sole sul viso e sul corpo. I testi dicono anche che il mondo in cui viviamo è un' estensione del nostro corpo. Esistiamo perché il mondo esiste, quindi gli alberi sono i nostri polmoni, i fiumi le nostre vene, la terra le nostre ossa. Facendo meditazione o yoga all' aperto possiamo sperimentare o avere la sensazione che il pianeta sia davvero parte di noi e che noi ne facciamo parte».
Il rischio che si corre è perdere la concentrazione: per chi si distrae facilmente non avere pareti intorno potrebbe dare ulteriori motivi per distogliere l' attenzione dalla sequenza di posizioni.» Tuttavia - aggiunge - se ci si vuole rilassare e sentire la natura intorno a sé dopo un inverno al chiuso, allora può essere un cambiamento gradito ».
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Con queste premesse Edwin Stern ( sarà a Roma dal 20 al 24 maggio 2020 e a Milano tra il 15 e il 18 ottobre 2020) dispensa qualche utile suggerimento: fare pratica prima che il sole sia troppo alto in cielo, comunque prima delle 10; di sera aspettare fino a dopo le 17, quando l' aria comincia a rinfrescarsi; evitare luoghi molto ventosi perché « il vento è come la tua mente, soffia dove vuole andare. Se il tempo è ventoso anche la tua mente lo diventerà». Le spiagge sono indicate specialmente quando il sole sta sorgendo, al tramonto per la meditazione. Sconsiglia infine luoghi rocciosi e scogliere, per il motivo che potrebbero risultare pericolosi: «Rendono bene in foto, ma le tue foto saranno orribili se cadi».