MONICA SERRA per la Stampa
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Ci sono giorni che fa quasi fatica a vivere, a dormire. In alcuni momenti anche a respirare. È un incubo nell'incubo quello che sta vivendo ora Michela (nome di fantasia), vittima due volte. Dopo i tremendi abusi che ha subito la notte del 10 ottobre, "prigioniera" per quasi ventiquattro ore nella camera padronale di Alberto Maria Genovese e che in tutti i modi la sua mente ha provato a rimuovere, ora è costretta a ricordare.
I servizi televisivi, i giornali, le trasmissioni: tutti parlano di quello che è successo a Terrazza sentimento, il superattico con vista Duomo del "mago delle startup" in carcere dal 6 novembre, dei festini, delle violenze. Non basta. Perché non manca chi l'accusa, chi le punta il dito contro.
ALBERTO GENOVESE
«Sono distrutta, sotto choc. Ma di certo non me la sono andata a cercare», si sfoga tramite il suo avvocato, Luca Procaccini. «Ho 18 anni, volevo solo divertirmi, ero stata invitata a una festa, mai pensavo di risvegliarmi in questo inferno», ripete Michela. Il nome di Genovese non lo vuole neanche sentire pronunciare. Non ci prova nessuno, neppure i genitori della ragazza che ogni giorno cercano di prenderla per mano per attraversare questo enorme dramma.
Quando lo sente in tv, piange disperata: «Non riesco ancora a capire che cosa sia accaduto. Come sia potuto succedere». «La prima volta che l'ho vista sembrava una prigioniera di guerra», racconta l'avvocato Procaccini. «Per carità, sono sofferenze diverse, forse l'immagine è forte. Ma era magra, smunta, spenta. Col viso piccolo di una bambina nascosto dietro la mascherina».
alberto genovese
È difficile anche per il legale spiegare tanta disperazione. «Quello che mi è capitato è stato una cosa tremenda. Ho rimosso tutto, ho cancellato ogni momento di quella notte. Ricordo solo la sensazione di pericolo, il dolore, l'enorme paura, quando sono riuscita a prendere il cellulare e a scrivere alle mie amiche per chiedere aiuto», ha confessato Michela all'avvocato. E mentre lo diceva, faceva fatica a parlare: «Una parola e due lacrime. Una parola e un pianto».
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Poi piano piano, i ricordi hanno iniziato a riaffiorare e con loro il dolore si è moltiplicato. «A fatica e con l'aiuto dei suoi genitori sono riuscito a convincerla a intraprendere un percorso con dei professionisti, degli psicologi, in grado di aiutarla a rimettere insieme i cocci, per provare ad elaborare questo momento», spiega il legale. «Ma è un percorso lungo, lunghissimo. Non possiamo sapere a che cosa porterà»
donna cocaina
Sono passati quaranta giorni da quella notte, e Michela alterna momenti di profonda depressione a momenti di rabbia viscerale. «Ha incredibili sbalzi d'umore. Ma gli alti sono pochi, e i bassi, bassissimi sono molti di più». Trascorre tante ore nel letto e davanti alla tv: «Io le dico di non guardare i servizi, le trasmissioni. Tutto questo la distrugge, ma lei ha la testa dura e non mi ascolta, sotto il bombardamento mediatico il suo turbamento è inevitabile», dice Procaccini. «Come fanno a paragonare quello che è successo a me con quello che succedeva a villa Inferno a Bologna?», si arrabbia Michela.
alberto genovese
Da quando si è saputo che una delle testimoni dei festini di Genovese era stata anche a villa Inferno lo scorso anno, in tanti hanno associato le due vicende, l'hanno accostata a quei festini bolognesi a base di sesso e droga. «Ma quelle feste con me non c'entrano nulla», piange Michela. Accanto a lei solo i familiari e gli amici più intimi, quelli di sempre. Tutta la gente che ruota attorno al mondo di Genovese, tutte quelle "presunte" amiche sono scomparse. «Fanno finta di non conoscerla, di non aver mai partecipato ai party».
Sono persone che Michela ha iniziato a frequentare perché sognava di entrare nel mondo della moda, di trovare qualche contatto di lavoro. «È vero, c'era già stata a Terrazza sentimento, era stata invitata da altri e ha conosciuto Genovese lì.
alberto genovese
Ma tra loro non c'era mai stato alcun rapporto. Lei pensava di andare a una festa della Milano Bene, ma quella gente non era bene per niente. È una bambina e si è ritrovata in un girone dell'inferno», conclude il legale. «Ora ha solo bisogno di essere protetta. Le ho promesso che lo farò in ogni sede. Da questo limbo non so quando e se ne uscirà».
«IN QUELLA CASA HO PATITO L'INFERNO OFFESA DALLE ACCUSE SULLA RETE»
Giuseppe Guastella per il “Corriere della Sera”
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Di notte si sveglia di soprassalto in preda al panico e con un nodo alla gola. Da quando quaranta giorni fa è fuggita seminuda e in lacrime dall'attico nel centro di Milano dove Alberto Genovese l'aveva seviziata per ore e ore, combatte una battaglia insidiosa con la sua memoria, divisa tra il desiderio di rimuovere ciò che ricorda e l'istinto di capire cose le è accaduto. «Sono distrutta, sto patendo le pene dell'inferno. Stampa, tv e internet parlano di questa storia continuamente. La mia mente fa un passo avanti e uno indietro».
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Diciotto anni e mezzo, studentessa e modella, Francesca (nome di fantasia) la fatica maggiore l'ha fatta due giorni dopo la violenza riferendo quel po' che le era rimasto in mente al pm milanese Rosaria Stagnaro e all'aggiunto Letizia Mannella. La droga che aveva assunto volontariamente in casa, forse mescolata di nascosto da Genovese con quella dello stupro, l'aveva resa incosciente come «una bambola di pezza» nelle mani del suo «aguzzino».
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Ricordava il prima, il dopo e pochi flash dolorosi, che però sono stati registrati fedelmente e nei più crudi dettagli dalle telecamere di sorveglianza installate nell'appartamento. La ragazza non ha la forza di parlare personalmente, non vuole farlo, ma autorizza il suo l'avvocato Luca Procaccini, che la difende col collega Saverio Macrì, a riportare alcune sue parole. Come ha già fatto con la polizia, spiega che prima del 10 ottobre, giorno della violenza, era stata altre due volte nel magnifico attico e super attico del 43enne invitata da conoscenti comuni.
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«La prima a giugno, la seconda a settembre, quando ha incontrato Belén Rodriguez e lo chef Carlo Cracco», riferisce l'avvocato. «Proprio per la presenza di personaggi famosi non ho mai percepito il rischio di un pericolo», dice Francesca. E aggiunge: «Sono confusa, mai avrei pensato di andare a una festa e poi vivere un incubo del genere». È la sua risposta a chi, come purtroppo accade spesso nei casi di violenza sessuale, specialmente sui social la «accusa» di essersi voluta cacciare nei guai da sola.
«È questo a farla soffrire, oltre alle conseguenze di quello che è accaduto», commenta Procaccini. Francesca non ha motivo per temere qualcosa quando torna per la terza volta a «Terrazza Sentimento». Stavolta, però, niente vip e festa esclusiva per una ventina di persone, la maggior parte ragazze molto giovani.
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Balla serena mentre in sala girano «piatti con della coca e dell'altra sostanza stupefacente chiamata 2CB, messa a disposizione degli invitati. Anche io ne ho assunta spontaneamente», dichiara a verbale. Poi la memoria si offusca: lei stordita in camera da letto con Genovese, la «sensazione che ci fossero altri uomini», le manette e il sangue fino al risveglio il giorno dopo, la fuga e la polizia che la soccorre.
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La difesa di Genovese sostiene con l'avvocato Davide Ferrari, che assiste l'imprenditore con il collega Luigi Isolabella, che ci sono ancora «sfumature da arricchire e approfondire con i magistrati» perché «emerge un quadro un po' diverso da quello tracciato dalla Procura». Francesca ha da poco trovato il coraggio per affrontare un percorso che, per quanto possibile, possa aiutarla a superare il trauma con cure psicologiche e psichiatriche: «Ho paura di tutto e di tutti».
Ad aiutarla ci sono i genitori, una coppia della media borghesia milanese, e i fratelli. «Non sa fino in fondo cosa le è accaduto, ma ogni volta che sente parlare di sé aggiunge una nuova tessera al mosaico anche se non è in grado di capire se questo sia frutto della sua memoria o di una suggestione dovuta al racconto che fa la stampa», spiega l'avvocato Procaccini. Ora è troppo frastornata per pensare al proprio futuro immediato. Intanto, però, ha chiesto ai suoi legali di interrompere il contratto con l'agenzia per la quale lavora come modella.
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