Estratto dell’articolo di Luca Bottura per “OGGI”
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Il 27 giugno 1980, alle 20.59, un missile abbatteva sui cieli di Ustica il Dc9 Itavia I-TIGI in volo da Bologna a Palermo, uccidendo 81 persone. Sparato da chi? Un Mirage francese oppure da chi altro? Il bersaglio era un Mig libico ritrovato settimane dopo in Calabria? Lo Stato italiano non collaborò, diciamo così, alle indagini.
La verità, emersa a frammenti subito dopo lo schianto, è solo in parte stabilita da decenni di processi. Nella base Nato del Monte Venda (Padova) era in servizio Enrico Bertolino: comico, attore, formatore. Soprattutto amico mio. Questo è il suo racconto.
Come mai eri lì?
«Mio padre aveva corrotto un maresciallo per farmi fare la leva in Aeronautica. Roba da poco, allora si mandavano le piante. Ma mi sa che avesse sbagliato pianta, magari era una graminacea. Così diventai controllore di volo nelle viscere del Monte Venda, dalle parti di Vo’ Euganeo. La base è stata smantellata a fine anni Novanta, anche per un piccolo problema». […]
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Come si esplicitava il nonnismo?
«Ricordo un certo Barbero, di Torino: un nonno gli diede fuoco dopo averlo cosparso di alcool perché insisteva a voler finire una partita a Pacman. Altri aspettavano le reclute truccati come i Kiss, quel gruppo musicale con le facce bianche e nere, di notte. Gli facevano fare delle flessioni sulle turche, rompendo delle bottiglie e facendogli mettere le mani sui vetri e con la faccia dentro alla turca».
Lo segnalavi?
«Lo segnalavo. Gli ufficiali mi rispondevano: “Va bene, ne prendiamo atto”. E basta: usavano gli anziani della caserma per sbrigare le incombenze noiose». […]
Com’era strutturata la base?
«Era un luogo nevralgico con centinaia di addetti, aveva la responsabilità della difesa aerea fino a Roma. Fu anche il primo focolaio di ribellione dei controllori di volo militari che volevano essere “civilizzati”. Per far rientrare lo sciopero telefonò anche Pertini, ma al centralino c’era un aviere bresciano che si esprimeva a suoni gutturali, spesso vittima di scherzi da parte dei “nonni”. Alzò la cornetta: “Sono il presidente Sandro Pertini, voglio parlare con il generale Vittoriano Cecchini”. E lui: “Sempre ‘sti scherzi de merda. Io sono Felice Gimondi, va’ a dar via il cü”. Prese venti giorni di consegna».
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Chi eri a vent’anni?
«Ero senza arte né parte. Lasciai una fidanzata, come tutti. Ma ero contento di non fare la coda al telefono a gettoni. Uno che fu abbandonato a distanza, Pedrazzini, tornò in camerata e bevve una bottiglia di Vecchia Romagna. Andò in coma etilico».
Sembra il bar di Guerre Stellari.
«Era il disagio degli anni Ottanta. C’era uno di Bologna che fumava canne a ripetizione. C’era l’eroina… A Macerata, durante l’addestramento, incontrai un tenente che portava il cappello da nazista: “Oggi purtroppo la guerra non c’è ma, se arrivasse, vi farò pisciare cherosene”». […]
Quella sera dov’eri?
«Nel tunnel, pronto per montare in servizio. All’improvviso gli ufficiali si chiudono dentro e comunicano: “Ragazzi, stasera qua sotto non entra nessuno”. C’era un tenente colonnello che si esprimeva a monosillabi e buttava giù il telefono. Fibrillazione. Dopo un po’ ci dicono: “Prendete il pullman e portatevi giù alla base”. E io: “Ma come, devo fare il mio turno”. E loro: “Tutti via, tutti via”».
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Reazione?
«“Che culo, stanotte si dorme”. Però poi, sapendo che quel che era successo, ci dicemmo che qualcosa non quadrava». […]
ENRICO BERTOLINO DURANTE IL SERVIZIO MILITARE
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