Cesare Giuzzi per www.corriere.it
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Sono morti dentro a una scatola di cemento armato aperta verso il cielo. Emanuele Zanin, bresciano di 46 anni e Jagdeep Singh, di 42, origini indiane e casa in val Camonica, sono morti soffocati nel tentativo di aiutarsi l’un l’altro.
Come spesso si muore quando si maneggiano gas infidi come l’azoto, killer senza odore, senza colore, che toglie il fiato quasi all’istante. Aria che uccide per asfissia, che si sostituisce all’ossigeno e il corpo cade nel tentativo di mettersi in salvo.
gli operai morti a rozzano
I soccorsi
Li ha trovati così il manutentore dell’impianto che alle otto di mattina aveva iniziato il turno «di guardia» all’ospedale. È lui, in caso di guasti, di necessità particolari nei reparti, ad intervenire. Ma non arriva perché suonano strani allarmi sul suo tablet. Lo fa perché è convinto che i due tecnici arrivati quasi un’ora prima abbiano finito di caricare la cisterna da 6 mila litri di azoto liquido che serve per conservare i campioni dei laboratori dell’Humanitas e stiano per andare via.
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«Sono sceso per chiudere il cancelletto e li ho trovati lì. Immobili», confida a un collega. Capisce subito che non c’è niente da fare. Dà l’allarme alla vigilanza dell’ospedale mentre un collega scende con il respiratore e vede il viso cianotico dei due operai sotto la visiera.
Asfissia
Morte per asfissia certifica il primo referto del medico del 118. La stessa dicitura riempie i primi verbali dei tecnici dell’Ats Milano est che insieme alla polizia locale di Pieve Emanuele, alla polizia giudiziaria della procura e ai carabinieri del Nucleo tutela lavoro, indagano sul duplice incidente.
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Il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e il pm Paolo Filippini hanno aperto un fascicolo per omicidio colposo. Inchiesta che sul piano della causa del decesso dovrà dire poco, ma che moltissimo avrà il compito di ricostruire su cosa è accaduto ieri mattina sul retro dell’Humanitas tra Rozzano e Pieve.
Il lavoro
L’incidente è avvenuto sotto l’occhio di una telecamera e si aspetta l’analisi dei filmati per ricostruire con certezza le mosse dei due operai. Lavoravano entrambi per la Autotrasporti Pe di Costa Volpino, azienda che si occupa del trasporto di azoto liquido per conto del Gruppo Sol, colosso del settore, che ha in appalto la fornitura di gas per l’ospedale.
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Vivevano nel Bresciano ed erano, tragicamente, entrambi padri di due bambini piccoli. Zanin lavorava da diversi anni per la Pe, mentre Singh, ex muratore, era in prova, assunto soltanto da pochi giorni. Un periodo che è al vaglio degli investigatori che vogliono capire se la formazione indispensabile per manovrare l’azoto liquido a -198 gradi sia stata svolta regolarmente.
I silos
L’operazione di caricamento è considerata di routine. Avviene più volte a settimana quando il sistema rileva la necessità di integrare le scorte. I silos dove l’azoto viene conservato a 12-13 bar di pressione si trovano sul retro dell’Humanitas university.
Il camion cisterna si affianca al livello della strada, lì c’è un quadro dove viene agganciato, con un doppio gancio di sicurezza stretto con un dado, il tubo d’acciaio che permette di rifornire le cisterne a 20 bar per spingere dentro il gas.
Le ustioni
Sotto c’è una sorta di cavedio di cemento armato, aperto sull’alto, che dà accesso alle cisterne. Bisogna scendere con una scala di metallo due metri sotto il livello della strada. Questo è il posto considerato più pericoloso. Perché l’azoto è più pesante dell’aria e si deposita sul fondo. Per questo è previsto un sistema di allarme con analisi continua dell’ossigenazione che si attiva in automatico in caso di perdite. Eventi considerati rari.
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Per riempire le cisterne però non serve scendere, anzi, spesso l’operazione viene svolta da una sola persona. Ecco perché gli inquirenti vogliono capire per quale motivo i due tecnici non si trovassero al piano strada ma dentro alla «buca».
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Lì si va solo in caso di guasti che però non risulterebbero essere stati segnalati. Per la procura le vittime sarebbero state prima colpite da un getto di gas uscito da uno sfiato che li avrebbe «congelati» procurandogli ustioni sul corpo. Il resto, in modo rapidissimo, lo avrebbe fatto il gas che sostituendosi all’ossigeno ha reso l’aria tossica. Un po’ come accaduto per i quattro operai morti alla Lamina nel 2018.
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L’aiuto reciproco
Gli inquirenti si muovono su tre fronti. Il primo è la verifica delle autorizzazioni e della formazione dei lavoratori. Il secondo riguarda l’eventualità di un errore umano o di una imprudenza nel comportamento: la dinamica fa pensare che i due operai siano morti nel tentativo di prestarsi soccorso l’un l’altro, anche se in questi casi chi scende a soccorrere deve usare un respiratore (che si trova sul camion).
La terza è quella, seppure remota, di un incidente. Un guasto improvviso a una valvola, la rottura accidentale di uno sfiato, che statisticamente si verifica molto raramente ma che potrebbe essere avvenuta casualmente nel momento in cui i due tecnici si trovavano vicini all’impianto.