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    1. I PATTISTI RCS SI PIEGANO MA ANCORA NON SI SPEZZANO SULLA RICAPITALIZZAZIONE 2. L’ASSENZA PESANTE DI ABRAMO BAZOLI ALLA RIUNIONE DEI POTERI MARCI E LA SUPPLICA ‘’A CUORE APERTO” DI DE BORTOLI ALLA REDAZIONE AFFINCHE’ PIEGHI LA TESTA DI FRONTE ALLA GHIGLIOTTINA ALLESTITA DALL’AZIENDA 3. “NON VOGLIO CONCLUDERE LA MIA CARRIERA SCEGLIENDO TRA VOI CHI MANDARE A CASA”. E FLEBUCCIO ANNUNCIA BONTÀ SUA DI ESSERSI RIDOTTO DEL 20% LO STIPENDIO MILIONARIO 4. COSA RISPONDERANNO I GIORNALISTI AL PROPRIO DIRETTORE? FORSE DALLA LORO REPLICA DIPENDERÀ ANCHE IL FUTURO DI FLEBUCCIO


     
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    Nel giorno in cui il "patto di sindacato" dell'Rcs Mediagroup ritrova un minimo di coesione in vista dell'aumento di capitale per evitare che il gruppo affondi nei debiti (oltre un miliardo di euro), ieri a fare notizia, però, sono state l'assenza - a sorpresa -, di Abramo Bazoli al summit in via Solferino (durato cinque ore), e la lettera-supplica inviata nelle stesse ore ai suoi giornalisti dal direttore del "Corriere della Sera" Flebuccio de Bortoli.

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    Senza entrare nel merito sul perché dell'iniziativa insolita (e clamorosa) da parte del firmatario della missiva - così definita "a cuore aperto" dal suo autore -, va subito rilevato che dopo mesi di silenzio Flebuccio de Bortoli, sia pure con qualche riserva, sembra sposare la linea d'azione lacrime&sangue perseguita dall'amministratore delegato Pietro Scott Jovane. Così da evitare che il Corriere venga travolto dalla crisi e i libri contabili finiscano in tribunale.

    "Il piano di ristrutturazione è urgente e improcrastinabile, soprattutto se verrà indissolubilmente legato ai progetti di sviluppo", scrive il direttore del quotidiano milanese. Di qui l'appello alla redazione affinché inghiottisca l'amaro calice: "Mi rivolgo a voi cari colleghi, in ore difficili nelle quali l'ipotesi di una procedura concorsuale per l'intero gruppo non è da escludere. Lo faccio - aggiunge de Bortoli - a cuore aperto, sotto forma di supplica".

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    E ancora: "L'aumento di capitale è incerto, il rifinanziamento del debito problematico e comunque assai costoso (allora non è erano soltanto illazione di Dagospia sempre smentite in via Solferino, ndr)". E nel richiamare i colleghi al senso di responsabilità, tira le orecchie delicatamente agli azionisti per il loro "atteggiamento di durezza" nei confronti dell'azienda.

    Poi Flebuccio "loda" il senso di responsabilità del Comitato di redazione invitandolo però a chiudere in fretta l'accordo-capestro con i Poteri marci "prima del prossimo consiglio di amministrazione". "Io continuo a rifiutarmi di avallare gesti unilaterali. Non voglio concludere la mia carriera giornalistica scegliendo tra voi chi mandare a casa", prosegue il direttore. Dunque, meglio imboccare di corsa la via della resa (incondizionata) anche perché, lascia capire de Bortoli, se la decimazione non toccherà a lui saranno altri ad azionare la ghigliottina in via Solferino.

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    Davvero non è una gran bella prospettiva quella offerta allo stremato corpo redazionale! Al quale, inoltre, suggerisce - "oltre a un certo numero di pensionamenti" -, di avviare "un contratto di solidarietà attivo" (la vecchia e cara cassa integrazione). Infine propone di trasformare almeno in parte i sacrifici economici richiesti in "un prestito infruttifero" all'azienda, da restituire al raggiungimento di "un certo livello di Ebitda". Così, da dimostrare, con questo obolo ai Poteri marci, il loro "attaccamento alla testata". Nel post scriptum, Flebuccio de Bortoli, annuncia bontà sua essersi ridotto del 20% il suo stipendio milionario.

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    Cosa risponderanno i giornalisti al proprio direttore? Forse dalla loro replica dipenderà anche il futuro di Flebuccio de Bortoli che una volta imboccata la via aziendale ai sacrifici difficilmente non potrebbe trarne la conseguenze se la sua "supplica" cadrà nel vuoto della redazione.

     

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    LA SUPPLICA DI DE BORTOLI

    Cari colleghi, Milano, 6 aprile 2013

    Il Corriere è al centro della vertenza aperta dalla crisi spagnola di Rcs Mediagroup. Pur non meritandolo. Il giornale è sano, lo è sempre stato, non ha mai perso nella sua storia, conserva la sua leadership. E anche nel 2012 ha registrato un margine operativo positivo e un utile netto, a differenza di molti altri quotidiani largamente in perdita. Crea cassa, non la distrugge. Non gode di alcun contributo pubblico. Il piano di ristrutturazione dell'intero gruppo comporta per il Corriere, in una complessa congiuntura di mercato, di raddoppiare la propria redditività.

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    Ma ha il merito - che va riconosciuto all'amministratore delegato Pietro Scott Jovane - di contenere una parte dedicata allo sviluppo, specie digitale, di inedita e grande importanza. Un insieme di progetti che mi auguro gli azionisti vorranno finanziare con un aumento di capitale adeguato.

    Pur avendo serie riserve sull'aggressività - neanche troppo vagamente punitiva nei confronti del Corriere e cioè dell'unica parte, quella dei quotidiani, che guadagna - il piano di ristrutturazione è urgente e improcrastinabile, soprattutto se verrà indissolubilmente legato ai progetti di sviluppo.

    Il Corriere soffre, come altri quotidiani, per la crisi degli investimenti pubblicitari, ma non nelle vendite al lettore, positive in questo inizio d'anno, e registra un trend incredibilmente favorevole nelle attività sul web e sulle nuove piattaforme multimediali.

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    In questi anni il Corriere ha creato dal nulla una casa editrice parallela che fattura ormai come i big del settore librario. Nonostante tutto ciò, è assolutamente indispensabile che conservi un'apprezzabile redditività. Deve produrre utili. L'equilibrio dei conti sostiene e giustifica la straordinaria e irripetibile indipendenza (anche dai suoi azionisti!) ed è il presupposto della qualità editoriale.

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    Non è solo un fatto economico, bensì morale. Se il giornale perde è anche colpa nostra. E se guadagna è anche merito nostro. Ma non esiste né indipendenza né qualità in un giornale privo di equilibrio economico.

    Mi rivolgo a voi, cari colleghi, in ore difficili nelle quali l'ipotesi di una procedura concorsuale per l'intero gruppo non è da escludere. Lo faccio a cuore aperto, sotto forma di supplica. L'aumento di capitale è incerto, il rifinanziamento del debito problematico e comunque assai costoso.

    Si registra in alcuni soci e creditori un atteggiamento di durezza incomprensibile che stride con il comportamento, assai diverso, che i medesimi soggetti tennero in circostanze analoghe quando si trattò, per esempio, di rifinanziare una compagnia aerea o un gruppo assicurativo.

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    E la sorpresa è ancora maggiore se si tiene conto che rappresentanti ad alto livello delle stesse istituzioni non erano né assenti né irresponsabili quando si trattò di approvare le operazioni a debito che sono all'origine della crisi del gruppo. Gli stessi rappresentanti che non ritennero poi di dare esecuzione a un aumento di capitale delegato dall'assemblea al consiglio già nel lontano 2007.

    Nel lodare il senso di responsabilità del comitato di redazione, non posso astenermi dal sollecitare una trattativa serrata e un accordo prima del prossimo consiglio di amministrazione. Io continuo a rifiutarmi di avallare gesti unilaterali. Non voglio concludere la mia carriera giornalistica scegliendo tra di voi chi mandare a casa. Ma se non lo farò io, lo farà qualcun altro.

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    Dunque, un accordo va trovato. E dobbiamo accettare tutti dei sacrifici, in forma equa e solidale, per garantire l'occupazione e l'inserimento dei giovani, oltre che la stabilizzazione di alcuni contratti a tempo determinato. Non solo una dolorosa scelta sindacale, ma anche l'espressione virtuosa di una linea di condotta professionale rispettosa dei diritti delle nuove generazioni e coerente con le nostre posizioni pubbliche.

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    Non vi sfuggirà poi, cari colleghi e cronisti di vaglia, che abbiamo un serio problema di comunicazione, anche nel rapporto con i lettori, della nostra vertenza. Le ragioni dei giornalisti non attraggono simpatie autentiche, né solidarietà vere, vista anche la tenera età di alcuni prepensionamenti. Non siamo né nel Sulcis né a Taranto, e - diciamolo con onestà - siamo beneficiari di alcuni istituti contrattuali, specie integrativi, ormai insostenibili. Se non daremo prova di responsabilità e serietà, saremo certamente assai meno credibili in tutta la nostra attività professionale e non solo quando criticheremo i privilegi delle cosiddetta casta, meritoria battaglia civile condotta in questi anni.

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    Il direttore è dalla parte del giornale e di tutte le maestranze che rendono possibile ventiquattro ore su ventiquattro, ogni giorno dell'anno, senza sosta, su innumerevoli piattaforme, una informazione di alta serietà e qualità. A voi va il mio sentito grazie, ma non sarei onestamente del tutto dalla vostra parte se vi nascondessi pietosamente i problemi o se avallassi posizioni velleitarie o miopi.

    Dobbiamo fare dei sacrifici. Subito. La mia proposta, che spero sia esaminata da voi con la dovuta attenzione, è rivolta più al valore simbolico del percorso che vi suggerirò che alla semplice ma cruda contabilità economica. Io sono convinto che si possa salvaguardare l'occupazione e nello stesso tempo, aspetto che giudico irrinunciabile, continuare a favorire la stabilizzazione e l'ingresso dei giovani.

    A tal fine, il comitato di redazione potrebbe valutare, nella sua piena e responsabile autonomia, oltre alla realizzazione di un certo numero di pensionamenti e prepensionamenti, la rinegoziazione di alcuni istituti contrattuali in modo da ridurre sensibilmente, nei tre anni del piano 2013-15, o in un periodo più lungo, il costo del lavoro.

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    Senza trascurare le fasce più deboli, che andrebbero protette e ipotizzando l'uso di un criterio di progressività. Un contratto di solidarietà attivo destinato a non pesare sui conti dell'istituto di previdenza. La mia proposta si estende anche all'ipotesi di trasformare almeno in parte i sacrifici economici che saranno necessari in un prestito infruttifero all'azienda, le cui modalità potranno essere oggetto di approfondimenti tecnici.

    Prestito che dimostrerebbe l'attaccamento dei giornalisti alla testata e verrebbe restituito al raggiungimento di un certo livello di Ebitda o di un certo rapporto fra Ebitda e indebitamento netto. O, in alternativa, a fine contratto individuale. Noi crediamo alla bontà del piano di ristrutturazione e investiamo nella nostra azienda. Senza pretendere interessi, ma nell'interesse generale del giornale e del gruppo.

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    Speriamo che anche gli azionisti e le banche facciano altrettanto. Sono sicuro che il senso di responsabilità prevarrà e che usciremo, a testa alta tutti insieme, da questa crisi spagnola della Rcs Mediagroup, salvaguardando l'occupazione, le speranze dei giovani, ma soprattutto la qualità dell'informazione offerta ai lettori.

    p.s. Vi comunico che con gesto autonomo, in maniera incondizionata, ho chiesto all'azienda di ridurre il mio stipendio del 20 per cento con le competenze del prossimo mese.
    fdb

     

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