massimo gramellini
Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera”
La lista delle cose che ci si vergogna di fare in pubblico si è ulteriormente ristretta di un’unità: sniffare cocaina su un vagone affollato della metro.
I due ragazzi in pantaloni corti, filmati da un passeggero della linea 1 di Milano mentre stendono e tirano su col naso la polverina bianca, non mostrano il minimo segno di imbarazzo o di sfida. I loro gesti non sono né furtivi né ostentati. Comodamente seduti, sniffano coca come se stessero mangiando un gelato.
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Magari mi sbaglio, però in quei movimenti sciolti, consuetudinari, non ravviso delirio di onnipotenza o volontà di provocare, ma qualcosa che forse è anche peggio: il menefreghismo di chi non pensa di stare facendo nulla di disdicevole. Come se fosse scomparso il senso del proibito che spingeva alla ricerca di intimità e induceva a consumare le trasgressioni in luoghi appartati, per esempio i bagni delle discoteche.
Uno spera ancora di trovarsi davanti a un’eccezione, perché l’alternativa è che si tratti invece di una nuova normalità: un individualismo indifferente agli sguardi altrui «in presenza» che i mesi dell’isolamento pandemico hanno accentuato.
Ma quali sguardi, poi? Quelli dei passeggeri sono abbassati sui rispettivi schermi. Il vagone è un assembramento di solitudini dove nessuno parla, l’unica voce che buca il silenzio è l’altoparlante che annuncia la prossima fermata e l’unico segnale di attenzione verso il mondo esterno è il telefono che riprende la scena.
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