Estratto dell’articolo di Giancarlo Dotto per “La Gazzetta dello Sport”
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Napoli-Roma: l’ennesima cruna dell’ago dove far passare il filo di fantasmi enormi come cammelli. La sfida dell’anno per l’uomo di Certaldo. Per almeno tre ottimi motivi. Il dover tenere invariata la distanza di sicurezza dalle rivali, togliendone una definitivamente di mezzo. La Roma. Il capitolo più intenso e controverso della sua storia di allenatore. José Mourinho.
Al netto delle dovute e non del tutto insincere dichiarazioni di stima, il suo vero antagonista. Il suo altro da sé.
José è l’inferno di Lucio. L’esistenza di José è lo schiaffo permanente alla sua vita. José è tutto quello che Lucio avrebbe voluto essere e non è nel suo libro dei sogni e tutto quello che non potrà mai essere nella vita reale di tutti i giorni. José è nato con la camicia.
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È l’allenatore che viaggia da sempre in Bentley, nel lusso, è il Seduttore che può chiedere tutto perché tutto gli sarà concesso, è l’Incantatore che fa giocare un calcio povero alle sue squadre, alla “sua” Roma (sua di Mourinho ma anche di Spalletti), avendo comunque la folla adorante ai suoi piedi, quando un altro, al posto suo, sarebbe linciato e lapidato in pubblica piazza.
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Lucio è l’esatto contrario di José. Che cresce da star predestinata nella bambagia. Lucio è nato nudo (“ignudo” direbbe lui), come il bambinello nella stalla tra buoi e asinelli con le zecche e l’alitosi. Quella sua di allenatore è storia di un’immane fatica, fisica e mentale, di cose conquistate palmo a palmo con la baionetta, nella trincea della vita, a prezzo un’applicazione feroce.
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I due hanno ben poco in comune. Una figlia di nome Matilde, entrambe deliziose, una determinazione che sfiora il maniacale e un magnetismo non comune. Più mentale il portoghese, più animale l’italiano. Per il resto, più diversi non si può. Lucio ama i suoi giocatori. Li ama a prescindere, solo per il fatto che sono suoi, che giocano e si battono per la causa comune. José ama i giocatori che lo amano. Quelli che fanno di Mourinho la loro causa.
Lucio trasmette la sua passione ai giocatori. È la sua forza. Glielo fa capire in tutti i modi quanto ci tiene alla loro felicità. È unico nel farli sentire importanti. Il caso più eclatante al Napoli? Lobotka. Era uno scarto con Gattuso, un puffo irrilevante, è il pilastro dell’impresa di Spalletti. Più di chiunque altro. Il suo reincarnato Pizarro.
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L’uomo di Certaldo si tortura nei dubbi, non ce la proprio a dimenticare sconfitte e umiliazioni, non sa godere delle vittorie e diffida della felicità. Ma vuole il “bello” perché il bello lo riscatta. Josè si fa scivolare tutto addosso. Detesta le sconfitte, ne percepisce il cattivo odore. Lui ha quasi solo certezze. La più certa delle certezze? Quanto sia inebriante essere José Mourinho. Non ha bisogno del bello. Gli basta vincere.
Lucio soffre José, ma solo perché incarna l’infinita ingiustizia della vita. Nel profondo, in realtà, lo stima e un po’ lo invidia (smetterà di farlo probabilmente il 4 giugno, alla fine di Napoli-Sampdoria). Pagherebbe di tasca sua per comunicare come sa fare inimitabilmente il portoghese, per avere un’oncia del suo charme maliardo.
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Lo ama e non lo sopporta allo stesso tempo. Ambivalenza che non ha, invece, nei confronti di altri colleghi. Non stima Max Allegri (lo testimonia la piroetta pulcinellesca con cui lo insegue e gli impone il saluto alla fine di Napoli-Juve, a lui e alla sua mediocre fuga da sconfitto in campo) e considera probabilmente Antonio Conte un allenatore più fortunato che abile.
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Spalletti l’hanno sempre chiamato per raddrizzare piazze depresse, rilanciare, ripartire. Sempre stato così. Al Napoli oggi, alla Roma, all’Inter e allo Zenit ieri. Mou ha vinto coppe e scudetti, ma Lucio non ha vinto di meno. Dovunque è stato ha centrato l’obiettivo di partenza, spesso è andato oltre. Piacciono anche a lui i grandi giocatori. Voleva Dybala al Napoli, ma costava troppo e si è “accontentato” di Kvaratskhelia, avendo una vaga idea di chi fosse. Vuole fortissimamente battere Mourinho domani. Sarà il suo regalo per il sessantesimo compleanno di José. Un attestato della stima sofferta che ha per lui. L’unico possibile, batterlo in campo. Dandogli, possibilmente, una lezione di gioco.
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Sa di meritare come nessuno al mondo questo trionfo, per questo ha il terrore di mancarlo. Volete farvelo nemico, Spalletti? Pronunciate la parola “scudetto” in sua presenza. Lui sa come deve fare. Profilo basso. Restare sotto coperta il più possibile. Ha scelto di isolarsi da qui ai primi di giugno. […]
Scaramantico? Forse. Prudente? Senz’altro Troppe ustioni nel suo passato. Potrebbe nominarle una ad una. Spalletti brucia e non dimentica. Permaloso perché troppo permeabile. La Juve penalizzata? Facile immaginare che non ha gradito. In cuor suo avrebbe voluto, alla fine del viaggio, un trionfo senza se e senza ma. Senza nulla che sminuisca l’impresa del suo Napoli.
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Di Lorenzo e soci non dovranno agitarsi e lasciarsi agitare più di tanto. Per molti di loro questa, lo sanno bene e se non lo sanno ci pensa Spalletti a ricordarglielo, questa sarà la loro occasione irripetibile per trasformare Napoli in un manicomio. Nel caso dovesse accadere Luciano Spalletti, c’è da giurarlo, si ritirerà nella sua campagna, dai suoi animali, il piccolo mondo antico da cui non si è mai davvero separato. E, chissà, forse scriverà una volta per tutte le sue memorie. Pescandole dal labirinto della sua testa. E, finalmente, facendo pace con lei.
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