Filippo Facci per Libero Quotidiano
whistleblower
I grillini che festeggiano sono come le bestie che scalpitano la sera: c' è una catastrofe nell' aria. Se poi a festeggiare c' è pure Laura Boldrini, beh, la Protezione civile deve dormire preoccupata. La calamità si chiama delazione - perché questo è il suo nome - che ora è una legge dello Stato fortemente voluta dai Cinquestelle, anche se la norma approvata ieri non parla di delazione, parla di «whistleblowing»: che sarebbe colui che, dopo aver scoperto un illecito, denuncia l' azienda per cui lavora. Ecco: la legge in questione si propone di proteggerlo da possibili rappresaglie e di renderlo praticamente illicenziabile, così che nell' azienda o nell' organizzazione dove lavora non regni l' omertà. Molto bello, detto così: sa molto di America, non di banale legge sui pentiti.
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Ma ci sono molti ma. La legge è passata al Senato e cioè è definitiva, ha beccato un sacco di voti e si è opposta in sostanza solo Forza Italia. È stata fortemente voluta anche dall' Autorità nazionale Anticorruzione (quella di Cantone) che si fa scudo di una richiesta formale della solita Unione Europea. La prima firmataria, si diceva, è la notissima deputata Cinquestelle Francesca Businarolo, mentre, non richiesto come al solito, si segnala l' intervento del presidente della Camera Laura Boldrini: «È un altro rilevante passo avanti del Parlamento nella lotta all' illegalità» eccetera, più altre frasi che contengono le espressioni «trasparenza», «senso civico», «società civile» e «cittadinanza attiva».
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La norma, che vale per il pubblico e il privato, si compone di tre articoli che rafforzano la Legge Severino e prevedono più tutele per il dipendente che denuncia: costui, se segnala per esempio all' Autorità anticorruzione degli illeciti, non potrà essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, insomma niente che gli sia sgradevole. Diverrà un intoccabile.
Vari articoli e commi si sprecano nello spiegare chi deve tutelare chi e come (roba tecnica) con tanto di sanzioni per chi non protegga il denunciante più altre sanzioni per chi faccia denunce false. Spetterà ai datori di lavoro sbattersi oltremodo per segnalare che il denunciante ha raccontato balle, se ne ha raccontate. Il terzo articolo della legge, in particolare, introduce la facoltà di violare allegramente il segreto d' ufficio e quello professionale e quello scientifico o industriale, oltreché l' obbligo di fedeltà al proprietario dell' azienda. Il tutto per «giusta causa», perché l' interesse della legalità è preminente.
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Ovviamente per il padrone che licenzia sono previste multone: l' Anac può irrogare da 5.000 a 30.000 euro, oppure da 10.000 a 50.000 euro per chi non verifichi le denunce del delatore, cioè del dipendente. E se il denunciate ha raccontato balle? In questo caso le tutele saltano dopo la sentenza di primo grado, che è una cosa un po' strana e decisamente poco garantista: il dipendente, magari, potrebbe vincere in Appello ma nel frattempo avrà perso il lavoro.
Detto questo, proviamo a calare questa legge nella realtà (in Italia) e chiediamoci se non ci stiamo ficcando tutti nei guai. Siamo un Paese di omertosi, c' è poco da fare, e una legge del genere implicherebbe un salto culturale che da noi, forse, non c' è ancora stato. Restiamo, anche se non per sempre, terra di mafia, corruzione, di delatori fascisti e antifascisti, di pentiti e talpe, di chi fa la spia ma non è figlio di Maria. E da noi potrebbero non mancare, per parlar chiaro, infiniti ominicchi che per sporcare il successo altrui o evitare un giusto licenziamento possano inventarsi qualsiasi cosa. Ma questa legge, prima di questo, presenta dei palesi problemi tecnici.
chi segnala illeciti finisce accoltellato
Per esempio: il mitico whistleblower può denunciare tutto quello che vuole, ma, se ci sono in ballo delle ipotesi di reato, l' Anac potrà tutelarlo sino a un certo punto: poi la cosa finirà nelle mani della magistratura, laddove di riservatezza non è proprio il caso di parlare. Il processo in ogni caso è pubblico, e chi accusa deve presentarsi a testimoniare: altrimenti si torna alla Russia o alla Cina della Guerra Fredda.
È quindi lecito chiedersi (molto lecito) se il nostro whistlebloster potrà mai sentirsi sufficientemente tutelato a fronte del ginepraio complessivo (giudiziario, civile, mediatico) in cui si andrebbe a infilare. Un ginepraio dal quale, come detto, la svista di un giudice potrebbe far uscire una sentenza di primo grado che gli dia torto. Eliminare due gradi di giudizio, insomma, pare un modo un po' troppo bizzarro di accorciare i tempi della giustizia.
RAFFAELE CANTONE
Queste sono osservazioni semplici e logiche, ma per quelle tecniche c' è un' interessante intervista che l' Espresso fece nel gennaio 2016 a un esperto internazionale in comunicazioni sicure. Costui, anonimo, spiegò che la pagina web dell' Autorità nazionale anticorruzione (dove ci sarebbe un modulo da compilare per il denunciante) non basterebbe per niente a proteggere il whistleblower, e oltretutto non impedirebbe a un datore di lavoro di vedere i siti web che un suo dipendente abbia visitato. Notare che un tizio si sia a soffermato su www.anticorruzione.it , per dire, qualche sospetto potrebbe darlo.
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Le procedure criptate per l' invio di segnalazioni, insomma, sono un capitolo complicatissimo da cui potrebbe dipendere anche interamente il successo o l' insuccesso di questa legge: al di là di ogni considerazione morale sulle «spie» e i «delatori». Non occorre essere degli informatici per sapere che i produttori di software che permettono di «criptare» un messaggio, per esempio, sono gli stessi che poi vendono i software per de-criptarli. Spesso sono i datori di lavoro a spiare i dipendenti: spie o delatori o whistleblower che possano essere. Allora i dipendenti, con questa legge, potrebbero spiare i datori di lavoro con più serenità, in teoria. Nel complesso, un bell' ambientino.