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    COOPERAZIONE OMICIDI? - STEFANO E IENDI SONO STATI AMMAZZATI? - SPARISCE DALLA PROCURA DI ROMA IL FASCICOLO SULLA MORTE DEI DUE COOPERANTI ITALIANI IN AFGHANISTAN - IL PM LUCA PALAMARA HA CHIESTO L’ARCHIVIAZIONE, PER TRE VOLTE IL GIP LISO HA ORDINATO DI PROSEGUIRE LE INDAGINI - I DUE FURONO TROVATI MORTI, IMBOTTITI DI EROINA, MA NON NE AVEVANO MAI FATTO USO - IL SOSPETTO: AVEVANO SCOPERTO IRREGOLARITA’ NELLA GESTIONE DEI FONDI?...


     
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    Massimo Martinelli per Il Messaggero

    La morte misteriosa di Stefano e Iendi, due cooperanti italiani deceduti in Afghanistan dopo aver scoperto un colossale ammanco dei fondi pubblici dalle casse della Ong per la quale lavoravano, imbarazza anche la Procura di Roma. Perché dopo aver ricevuto per la terza volta la richiesta formale da parte del Gip di Roma, Rosalba Liso, di indagare per il reato di omicidio, il pm Luca Palamara ha nuovamente chiesto di spedire il fascicolo in archivio. Un fascicolo che però, fino a ieri, sembrava scomparso. Ed è per questo motivo che i legali della famiglia di Stefano Siringo, uno dei due ragazzi deceduti, ha inviato una richiesta formale allo stesso gip Rosalba Liso di accertare il perché del mancato deposito delle carte che ha impedito di conoscere i contenuti un'indagine che contiene tutti gli ingredienti del grande giallo internazionale.

    LE PROVE IGNORATE
    A sostenerlo era stata la stessa gip Rosalba Liso, nell'ordinanza in cui, mesi fa, elencava alla procura gli elementi che davano concretezza all'ipotesi del duplice omicidio. Perché quando furono trovati morti, il 16 febbraio del 2006, Stefano Siringo e Iendi Iannelli erano imbottiti di eroina, senza averne mai assunta un'unghia. Non erano tossicodipendenti e detestavano quel tipo di stupefacente, avevano raccontato gli amici. E il gip aveva scritto: «Deve escludersi che si trattasse di due assuntori di eroina né occasionali né abituali; e risulta inverosimile che avessero deciso di assumere un quantitativo di eroina così elevato come quello che li ha condotti alla morte, con un grado di purezza prossimo al 100 per cento».

    Di più: era stata la stessa Rosalba Liso, che avendo esaminato il fascicolo, traeva conclusioni esplicite: «Sono emersi elementi tali da ritenere che proprio in virtù del ruolo ricoperto da Iannelli e Siringo all'interno dell'Idlo, essi fossero venuti a conoscenza di anomalie gestionali di notevole entità economica, che avrebbero potuto determinare la chiusura del progetto e la cessazione dell'erogazione dei finanziamenti da parte del ministero degli Esteri italiano».

    IL SEGRETO DI KABUL
    Il buco scoperto dai due ragazzi era di 15 milioni di euro, erogati all'Idlo dalla Farnesina tra il 2005 e il 2006 per finanziare il «progetto Giustizia», che prevedeva la ricostruzione di un sistema giudiziario in Afghanistan. Iannelli e Siringo si era accorti che i soldi prendevano un'altra direzione. Lo avevano confidato a persone fidate; poi una sera, dopo aver cenato alla mensa, si erano sentiti male ed erano morti.

    All'Idlo di Kabul provarono a liquidarla come una brutta storia di tossicodipendenza; però la mensa dell'Idlo rimase chiusa per una settimana. Le ragioni le ha capite anche il gip Liso, leggendo i rapporti dei carabinieri: «Non vanno sottovalutate le dichiarazioni del professor Ruiz che ha riferito in merito alle voci sull'avvelenamento dei due giovani diffuse subito dopo la loro morte e sulle consolidate tecniche di avvelenamento praticate in Afghanistan attraverso l'uso combinato di cibo e droghe».

    LA FIRMA MANCANTE
    Ma c'è un ultimo dettaglio che nei giorni scorsi ha spinto Barbara Siringo, sorella di Stefano, a scrivere al procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone: «Nelle precedenti richieste di archiviazione, accanto alla firma del pm c'era quella dei precedenti procuratori capo. Stavolta che il fascicolo non si trova, la richiesta di archiviazione non ha la firma del Procuratore capo. E questa, per noi, è una ulteriore anomalia». Nei prossimi giorni il legale della famiglia, Luciano Tonietti, si recherà personalmente in procura per bussare a tutte gli uffici che potrebbero aver maneggiato il fascicolo. «E ci andrò pure io se necessario - dice Barbara Siringo - perché lì dentro ci sono le prove sul delitto di mio fratello».

     

     

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