DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Jacopo D’Orsi per la Stampa
Gianluca Vialli, sette scudetti si fa fatica a elencarli, figuriamoci a vincerli di seguito. Qual è il segreto della Juve?
«Un gruppo senza eguali: società, squadra, staff tecnico.
Nessun altro club alimenta così la cultura del lavoro: il motto "fino alla fine" non è solo parole».
Ha mai pensato che i bianconeri potessero non vincere?
«Ad agosto avrei puntato sul Napoli. E sul 2-1 per l' Inter a San Siro, 17 giorni fa, pensavo che avessero buttato via lo scudetto. Li avevo visti molli sulle gambe, dimenticavo la resilienza nel loro Dna».
Prego?
«Come un metallo che cambia forma ma poi torna sempre se stesso, si adatta, supera tutte le difficoltà. La Juve è così da sempre».
Chi è il papà di questo titolo?
«Ce ne sono tanti. Dybala, decisivo all' inizio. Higuain nelle grandi partite, come a Napoli.Chiellini e Buffon a un certo punto hanno blindato la difesa, poi è stato il momento di Pjanic. Infine Douglas Costa e le sue accelerazioni».
Dybala è però sparito dai radar.
«Ho giocato con Baggio e Del Piero, sono situazioni che ho visto. Se indossi la numero 10 della Juve e non sei Messi, fa parte del destino mettere in conto qualche difficoltà. Alex è stato un esempio: ha sfruttato ogni secondo di allenamento per migliorarsi».
Allegri divide tanti tifosi: lei da che parte sta?
«Non scherziamo, non condivido le critiche. Max è bravissimo sia sul piano tecnico-tattico, perché capace di adattare il sistema di gioco a situazioni e avversari, sia su quello gestionale, spesso sottovalutato. Trova sempre la risposta giusta».
Le sarebbe piaciuto essere allenato da lui?
«Assolutamente sì. Oggi i calciatori sono piccole aziende, quasi dei brand, un tecnico deve tenere conto anche di questo».
Più di quattro doppiette campionato-Coppa Italia è complicato fare: lei non cercherebbe stimoli altrove?
«Qualche volta può averlo pensato anche Ferguson, che però rimase 27 anni al Manchester United continuando a vincere. Magari un giorno parleremo di Allegri come di "sir Max"... Non è facile lasciare la Juve, è dura trovare di meglio».
Da Chiellini al vicepresidente Nedved, in molti hanno fatto capire che i festeggiamenti anticipati del Napoli e le polemiche arbitrali hanno dato una carica in più allo spogliatoio: accadeva anche ai suoi tempi?
«La Juve è amata oppure odiata e sa abbeverarsi di entrambe le energie. A Torino se non vinci impari qualcosa: fa la differenza, aiuta a restare impermeabili alle pressioni.
Altre squadre sono più suscettibili agli sbalzi d' umore».
La Var: promossa o bocciata?
«Ero sicuro che per come siamo fatti noi italiani non avrebbe eliminato i sospetti.
Però ora se guardo la Champions, rimasta senza, vedo un calcio arretrato, meno giusto.
Vincere il primo scudetto con la Var per la Juve era importante, anche se la tecnologia non è perfetta: non risolverà mai casi soggettivi come quello di Madrid».
Per lei era rigore?
«Visto dalla prospettiva di Buffon no, ma da quella dell' arbitro era quasi impossibile non fischiarlo».
Da capitano a capitano: a lei che ha alzato l' ultima Champions vinta dalla Juve, nel 1996, che effetto fa vedere smettere il numero 1?
«Merita di chiudere con questi due trofei. Quanto alla Champions è anche bello avere qualche rimpianto, lo dice chi come me non ha mai vinto il Mondiale, altrimenti saresti simile a un robot. Invece aver mostrato una vulnerabilità avvicina Gigi alla gente, chi ha giocato può comprendere il suo sfogo al Bernabeu».
Come si migliora questa squadra?
«La Juve sa cambiare poco tutti gli anni, per non ripartire mai da zero. Punterei sul centrocampo, cercando una mezzala di qualità da affiancare a Pjanic: penso al City, dove Guardiola schiera in quel ruolo De Bruyne e Silva. Allegri talvolta dice che si annoia... Sarebbe una bella sfida».
C' è qualcuno che può impedire alla Juve di vincere l' ottavo scudetto?
«Al Napoli non si può rimproverare nulla. Le altre grandi - Inter, Roma o Milan - riusciranno a colmare il gap solo dando più continuità al progetto tecnico».
Delusione e sorpresa del campionato?
«La prima è il Milan, sesto dopo quel mercato anche se con Gattuso si è un po' assestato.
La seconda l' Atalanta, rimasta ad alti livelli nonostante l' Europa: gioca un calcio divertente, totale, fisico, mi sarebbe davvero piaciuto far parte di questa squadra».
Il suo ex gemello in campo ai tempi della Samp, Mancini, è il nuovo ct della Nazionale: è l' uomo giusto?
«Ci tengo a sottolineare una cosa: nessuno di noi sceglie in base al denaro, ma bisogna togliersi il cappello di fronte a chi si è messo a disposizione rinunciando a tanti soldi. E poi, ne ho parlato spesso anche con lui in passato, ci sono tanti rischi: l' Italia di adesso non è la Spagna o il Brasile.
Però credo che gente come noi abbia il dovere di rispondere presente».
Ci sta dicendo che Mancini la vorrebbe con sé?
«Sì, ha bisogno di un attaccante... A parte gli scherzi, per quanto mi riguarda parlavo in linea teorica e semmai con un ruolo diverso. Dovesse capitarmi, mi metterei anch' io a disposizione: se l' inno ti emoziona ancora, è giusto andare».
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